A lezione dal Canonico Bascetta

in Homines di

Dopo aver letto, con non celato interesse, il primo numero del giornale ho pensato fra me e me che Symmachia rappresenta l’ultimo virgulto – non certo per importanza, forse il più energico e diretto, di una rinnovata stagione di associazionismo adranita, dopo anni di torpore della coscienza civica.

Gli obiettivi dell’associazione e la linea editoriale della rivista lasciano ben sperare, poiché vanno verso la formazione di una nuova consapevolezza del Municipio. Questo è il motivo per cui ho deciso di dare questo mio spontaneo contributo al giornale.

Così come potrebbe far presagire il titolo, il mio non è, solo, un nostalgico ed edificante ritorno al passato, quando il fervore politico, l’eloquio brillante (spesso dialettale, la cosiddetta “parrata di padre Bascetta”) e la formidabile capacità e, forse, anche più importante, disponibilità, di contraddittorio (virtù fondante di qualunque comunità democratica, oramai sepolta dai lunghi, spesso indecorosi e patetici soliloqui televisivi di esponenti politici locali) di un giovane prete adranita, amico di don Sturzo, sfociavano impetuosamente nella piazza gremita di genti avide del proprio riscatto sociale e non solo. Quel consenso si aggregava sulla base di interessi collettivi della comunità adranita e di un’idea riformista ben precisa: saziare la fame di terra di braccianti e contadini con la divisione delle terre del latifondo e la creazione della piccola proprietà contadina.

D’altronde, non voglio tessere le lodi del personaggio che per questioni anagrafiche non ho avuto modo di conoscere personalmente, intendendo qui solo fare riferimento al suo documentato e testimoniato (diversi adraniti attempati lo ricordano ancora come il prete che diede le terre, anche se qualcuno di loro sottolinea, sardonico, che non erano quelle migliori; certo superare la diffidenza dei possidenti e convincerli a disfarsi da subito dei poderi migliori avrebbe avuto del miracoloso. Ma, i miracoli, ahimè, non erano prerogativa del nostro, il quale agiva sempre sulla base di presupposti reali e realistici) impegno sociale e politico, oltre che pastorale, anche se penso che tutte queste differenze il Canonico non le abbia mai fatte, essendo il suo operato un unicum inscindibile del quale la comunità rappresentava la dimensione costitutiva.

A voler narrare qualche dettaglio personale, pare proprio che per la sua forza di carattere, non amasse essere contraddetto. Ma, prima ho parlato di disponibilità al contraddittorio e non di sublimazione dello stesso. Se uno è realmente convinto delle sue idee, se attaccato non le svenderà al miglior offerente ma le difenderà con la forza delle sue argomentazioni. Certo, potrà capitare di farlo a malincuore, ma mai negando a priori il confronto. Voltaire disse qualcosa in merito il cui senso – non letterale – è questo: “Anche se non condivido ciò che dici, farò di tutto per garantire la tua libertà di espressione”. E visto l’andazzo suggerirei, però, di usare il buon gusto di provare, almeno, a comunicare realmente qualcosa a chi ha la gentilezza di ascoltare!

Ma allora qual è il punto? Ve lo riassumo in due parole: i partiti politici, schiavi del consenso immediato e, per questo, sempre più propensi a generare clientele e a cavalcare le condizioni di bisogno della gente, hanno fagocitato qualunque idea di interesse collettivo. Nei comuni ciò è equivalso alla soppressione di ogni tentativo di governo della polis, manifestazione per antonomasia della prima forma di democrazia, quella diretta della città-stato.

Non è un caso che del forte impegno municipalista di don Sturzo, nella sua Caltagirone, e della sua nutrita schiera di probi amministratori locali, tra cui il nostro Vincenzo Bascetta, si parli poco o niente.

Oggi il tormentone è il federalismo in salsa leghista, quello delle mille deleghe avvenire, di cui anche chi ne parla conosce ancora poco – e ancor di meno i numeri, e probabilmente tutti sanno, ma tacciono, che i comuni avranno poco di che stare allegri visto il serissimo rischio di rafforzare il potere di quelle straordinarie macchine mangiasoldi e centri di potere che sono divenute le regioni.

Già a fine ‘800, il giovane Sturzo, al pari di padre Bascetta – la differenza tra i due non sta certamente nell’impegno profuso e nella qualità dell’azione amministrativa locale, ma nella diversa collocazione e sfera di influenza che in Sturzo, per diversi motivi, è certamente più ampia – incominciò ad insegnare ai suoi concittadini cosa fosse un comune di uno Stato democratico. Al centro di tutto vi era il valore fondante della libertà della persona e della tutela della famiglia. La persona, la famiglia, il comune vengono prima dello Stato che, secondo il principio di sussidiarietà, spesso male interpretato o strumentalizzato, può essere solo uno strumento e non un fine. E’ chiaro che non era puro e semplice localismo. Quello che si limita alla propaganda della sagra del cacio cavallo di vattelapesca, per intenderci.

Il suo era il tentativo di far emergere dal particolare della vita cittadina, e dei rapporti che in essa si intrecciano, i principi di una vera democrazia. E l’impegno fu così convinto e costante – di certo i gravami romani legati alla nascita del partito popolare gli sottraevano non poco tempo – che egli, ripensando alla sua attività municipalista di Caltagirone, ebbe a dire: “Non capiscono niente coloro che sottovalutano questa mia attività”.

Allora i partiti non avevano assunto il ruolo di centralità che hanno oggi. Addirittura, i primi studiosi in materia di democrazia non ne facevano alcun cenno. Max Weber ricordava come l’esistenza dei partiti non era contemplata da nessuna Costituzione democratica e liberale fino al 1920.

Anche la nostra Costituzione si limita a considerare nell’art. 49 la, quasi timida, possibilità che i cittadini hanno di associarsi in partiti per concorrere, peraltro con metodo democratico – salvo dispense divine! – , alla determinazione della politica nazionale.

E allora da dove deriva il loro strapotere e la loro necessità di esistere e dettar legge in ogni ambito territoriale, financo nel piccolo e antico borgo di Carcaci?

La risposta è semplice, anche se non scontata, poiché gli argomenti necessari alla sua formulazione si scontrano sempre con la subdola retorica democratica, che alza la cresta soprattutto nei periodi più bui, quando vacilla l’idea di una sana e robusta rappresentanza popolare e con essa della legittimazione al potere della classe politica.

La democrazia essendo un contenitore vuoto, anzi pieno solamente di un metodo attraverso il quale si assumono le decisioni – quello democratico, per l’appunto – non è un valore in sé e non propone valori. Ciò l’ha resa particolarmente vulnerabile nei confronti delle sempre più pressanti spinte mercantiliste della società moderna, che con i loro parametri esclusivamente quantitativi – quelli monetari in testa – e di potere hanno colonizzato tutto il sistema politico e dei partiti.

Questi ultimi, infatti, da mera possibilità si sono trasformati in assoluta necessità, arrivando ad incarnare l’essenza stessa della democrazia decretandone, per certi versi, la fine. Essi, sotto lo scudo della libertà politica, caduti progressivamente vittima delle oligarchie e dei potentati economici del nostro paese, ne rappresentano oggi il loro braccio operativo.

Ed è proprio tale circostanza che fa venire meno uno dei presupposti essenziali di qualunque democrazia: il voto deve essere uguale. Purtroppo, così non è! Il voto non è uguale. Spiega, infatti, efficacemente, un certo Gaetano Mosca: “Cento che agiscano sempre di concerto e di intesa gli uni con gli altri trionferanno su mille presi uno a uno che non avranno alcun accordo fra loro”. Morale della favola, il voto del cittadino libero, non appartenente ad alcun partito, non infeudato, il cosiddetto voto d’opinione non conta nulla rispetto a quello organizzato.

E, siccome è probabile che a breve saremo chiamati alle urne, se qualcuno riproporrà la manfrina del voto utile, ovvero la preghiera di non disperdere il voto al di fuori di Pd e Pdl, ebbene non avremo di che meravigliarci! La logica è esattamente quella del voto disuguale che, in un sistema bipolare – anche se sbilenco – come il nostro, non può che essere esaltata.

Nel nostro piccolo, abbiamo dovuto sorbirci anche le sortite di chi faceva a gara nel tentativo di auto legittimare la propria appartenenza al Pdl – questa volta solo Pdl – totalmente dimentico del fatto che questo partito, nella totalità delle sue componenti, finiani compresi, ha battuto ogni record nell’approvare una serie di leggi tutte con l’obiettivo di risolvere i problemi di una singola persona. Sbaglio, o la “generalità” è uno dei requisiti delle leggi dello Stato? Bah, probabilmente sono io a essere “esagerato”, perché quello che realmente conta è riuscire a capitalizzare al meglio il proprio portafoglio voti. E dove vai, se il Pdl non c’è l’hai ….? Corri il rischio di sparire dallo scenario della politica che conta! Però, non so se Sturzo o Bascetta, avrebbero condiviso questo tipo di realismo politico! Ma credo, anzi ne sono convinto, che anche tra i contemporanei del Pdl stesso, ci sia chi nutre seri dubbi. Solo che rimane impantanato nella palude del degrado intellettuale e della soggezione nei confronti del capobastone di riferimento per paura dell’ isolamento o per imperitura gratitudine per chissà quale incarico o consulenza.

Comunque, i politici non sono tutti uguali – anche se quelli degni di menzione sono veramente pochi e non è per nulla semplice identificarli ed avere modo di apprezzarli – o criticarli – perché relegati spesso al margine e non sempre riescono ad avere la visibilità che meritano, ma vi assicuro che esistono. Non sono, però, così ingenuo da farvi nomi.

Allo stesso modo, penso che l’attuale nostra amministrazione comunale non possa essere paragonata a quella precedente. Se non altro, per la diligenza usata nella gestione della cosa pubblica e la maggiore perizia mostrata sino ad oggi nell’impiego delle scarse risorse finanziarie a disposizione.

Eh sì, perché checché se ne dica, l’amministrazione di un comune è fatta anche di piccole cose, piccole manutenzioni, la porta, la maniglia, la finestra, la sistemazione del chiosco, …. tutto tranne l’abbandono! Dichiarazioni roboanti e pretese faraoniche lasciano il tempo che trovano.

Comunque sia, ciò che a noi importa è che gli interessi della nostra comunità non vengano sacrificati sotto i pesanti condizionamenti di questa o quella segreteria politica e dei loro menestrelli o in nome di interessi particolari più o meno occulti.

Sappiamo che la politica locale, quella fatta di impegno civico e spirito di servizio, può prescindere benissimo da qualunque partito e trovare spazi alternativi. Basta coltivare quell’ampia area grigia inaridita dal disinteresse, da tornaconti personali e condizioni di bisogno che hanno offuscato ogni visione del bene comune. Insomma, meno partiti più società civile.

Non è concepibile che un ristretto numero di consiglieri comunali, trenta, debba appiattirsi sulle posizioni di due o tre gruppi consiliari. L’approvazione di un atto è meno importante delle sue stesse modalità. Il voto finale, positivo o no, è solo una sintesi. Quello che importa è la ricchezza del dibattito e l’intensità del confronto che la genera. Se necessario, il consiglio comunale deve essere capace di esprimere trenta diverse dichiarazioni di voto. Tutte giustificate da visioni differenti.

In una piccola comunità come la nostra ciò non è solo auspicabile. E’ assolutamente possibile. Si chiamerebbe, semplicemente, democrazia cittadina. E nel Medioevo è già esistita.

L’impegno che deriva dalla rappresentanza politica, quella autentica, non può che essere disinteressato. A buon rendere. Le tribolazioni e le carriere degli onorevoli o aspiranti tali, non ci possono impensierire; esse sono il frutto di una loro malintesa interpretazione, figlia del dilagante malcostume, che induce a sovrapporre la sfera privata a quella pubblica. Il rapporto tra eletto ed elettore si configura oggi alla stessa stregua di quello, privato, tra cliente e professionista (della politica). Quest’ultimo fa solo gli interessi del primo.

Lo spauracchio della mancata elezione o rielezione non può essere l’unico metro di riferimento dell’azione politica ed amministrativa. A volte può essere necessario assumere posizioni impopolari che rispondono, però, alle esigenze della comunità, magari quelle non a breve termine. “Il popolo vuole sempre il bene, ma di per sé non sempre lo vede” (Rousseau). E se non riesce a vederlo nemmeno chi amministra, perché accecato dal consenso, sempre e comunque, siamo belli e fritti!

L’impopolarità, se è il prezzo delle proprie idee, diventa allora anch’essa un dovere individuale e nei confronti della collettività, che trova, peraltro, il suo fondamento giuridico nell’assenza di vincolo di mandato di ogni eletto.

E, poi, il miglior servizio reso alla comunità è quello che si ricambia facilmente e si alimenta di forze nuove, capaci di contributi originali che possano travalicare la visione stantia dei soliti gerontocrati.

Dimenticavo. Speriamo che Fini decida di dare alla luce la sua nuova creatura politica al più presto così, l’Italia sarà un po’ più libera – meglio tardi che mai! – e con buona pace di tutti e, soprattutto, del Pdl paesano, ognuno avrà il suo bel simbolo. Per Adrano e gli adraniti non cambierà un bel nulla!

 

 

Foto: TVA