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L’arte nella insabbiata in onore di san Nicolò Politi

in Controcultura di

La prima Insabbiata ad Adrano raccontata da alcune foto di Gisella Torrisi e dall’intervista (improvvisata) di Fernando Nicosia all’organizzatrice dell’evento e coordinatrice artistica, la nostra Sara Ricca. Vedrete in questo video la spontaneità dei ragazzi di Symmachia che dopo il Laboratorio Sociale di Performazione (tenutosi ogni domenica presso la nostra sede) si sono ritrovati reporter in un meraviglioso pomeriggio alla villa di Adrano. I temi della lezione di ieri, domenica 07 maggio, sono stati: responsabilità e trasparenza, leggerezza e profondità. Chissà se questo non sia lo spunto per un telegiornale… sarebbe sicuramente fresco e autentico come i nostri cari ragazzi.
Viva il cambiamento! Rendiamo vivo il nostro paese.

*Foto di copertina di AdranoDreamers

Rotonda dell’ex cavalcavia “San Paolo”: istituire un premio per ingegneria creativa

in Attualità di

Non c’è dubbio: la piccola rotonda collocata nei pressi dell’ex cavalcavia della Ferrovia Circumetnea in zona San Paolo merita un premio per ingegneria creativa. Un premio perché, ancora oggi, a distanza di alcune settimane, dalla riapertura del tratto di strada interessato dal vecchio ponte, non è comprensibile la sua utilità. Probabilmente, rappresenterà una semplice decorazione, una macchia bianca nel nuovo asfalto.

Come bisogna orientarsi con la “rotonda” o meglio la “rotondina” rimane un mistero, soprattutto per coloro che provengono da via San Paolo e intendono proseguire per raggiungere lo svincolo della superstrada, la statale 284. Chi l’ha pensata potrebbe spiegare? Anche perchè, ancora oggi, a distanza di molto tempo ormai, questa “rotonda” o meglio la “rotondina” rimane sprovvista della necessaria segnaletica verticale, come pure di quella orizzontale nel pezzettino di strada che è stata sistemata.

Ciò che emerge è approssimazione negli interventi, per un cantiere che è rimasto fermo per diverse settimane e riaperto, alla meno peggio, dopo le sollecitazioni in Consiglio comunale. Rimane la creatività, come già avvenuto per decine di altri interventi – spacciati per opere pubbliche – in altre strada e quartieri di Adrano. Sempre per restare nel quartiere San Paolo, le strade adiacenti alla chiesa risultano in condizioni pietose. Sono le stesse strada che sono state sistemate appena qualche anno fa: le mattonelle autobloccanti di colore bordeaux si stanno spostando, una dopo l’altra, per non parlare di diversi disagi lamentati dai residenti durante la pioggia.

*Foto tratta dal gruppo Fb “AdranoDreamers”

Tutti pazzi per le (inutili) Primarie PD

in Politica di

Ad Adrano e Biancavilla, esponenti di Centrodestra ai seggi

I capicorrente hanno mobilitato le truppe. Mogli, mariti, cognati, anziani accompagnati, cugini fino al terzo, quarto grado di parentela: tutti in fila per votare alle primarie del Partito Democratico, per la riabilitazione politica di Matteo Renzi dopo il fallimento del referendum costituzionale del 4 dicembre. Al voto, si stanno recando pure soggetti che, notoriamente, non c’entrano nulla con la sinistra: ad Adrano hanno votato assessori e consiglieri comunali riconducibili al partito di Angelino Alfano, a Biancavilla esponenti di Centrodestra stazionano nella sede del PD.

Intanto, in serata, l’ex premier tornerà alla guida del Partito Democratico, farà i proclami all’unità del partito, per poi staccare la spina al governo Gentiloni e puntare a Palazzo Chigi, questa volta passando dal voto popolare. Tutto è già scritto, Renzi è sicuro di superare la soglia del 50% per essere immediatamente incoronato segretario. Dietro di lui, ci saranno i due sfidanti, nell’ordine di arrivo: Andrea Orlando, che incarna il mondo anti-renziano della sinistra, e, poi, Michele Emiliano che cercherà di strappare al leader una sfilza di posti nelle liste per le prossime elezioni, in cui troverà collocazione qualche fedelissimo del presidente della Regione, Crocetta.

Al di là delle prospettive nazionali del PD, a recitare un ruolo da protagonista nella farsa delle primarie sarà la Sicilia che – vedrete – farà registrare il boom in termini di partecipazione “libera e democratica” ai seggi. A Catania sono state stampate 40 mila schede, ma c’è chi è pronto a scommettere – o ad investire, fate voti – che non basteranno e bisognerà ricorrere alle fotocopiatrici. Numeri da capogiro, alle falde dell’Etna, con un PD che avrà più voti alle primarie che alle vere elezioni. Catania e i Comuni della provincia hanno sempre sonoramente bocciato il Partito Democratico, relegandolo a percentuali ridicole, con una classe dirigente mediocre e una dirigenza politicamente vergognosa e indecente, proprio come quella attuale.

Intanto, i numeri contano: a Biancavilla e ad Adrano hanno già votato più di 500 elettori. Un vero investimento – politico, si intende – con una flotta di soggetti politici di tutti gli schieramenti che devono dare (incomprensibili) “segnali” della loro esistenza e consistenza al capocorrente, al deputato di turno, fino a ridursi in campo strettamente locale per cercare di ritagliarsi un posto al sole. Ai politici di professione, si associano riciclati, trombati, affamati di ruoli e di poltrone, gente che non prenderebbe un voto nel proprio condominio.

E’ questo il gioco perverso delle primarie, il trionfo della inutilità, un becero strumento di ipocrisia, spacciato per democratico: altro che “sole dell’avvenire”.

Eccellenza chieda a Ferrante: che fine hanno fatto le Suore e la Sangiorgio Gualtieri?

in Attualità di

Strette di mano, sorrisi, abbracci, discorsi, scambio di doni e tanti cari saluti. E’, in sintesi, l’incontro tra l’arcivescovo di Catania e i rappresentanti istituzionali di Adrano, nell’ambito della visita pastorale che monsignor Salvatore Gristina sta compiendo nei Comuni dell’arcidiocesi. E’ un’occasione significativa o, per usare le parole di san Giovanni Paolo II, un “autentico tempo di grazia e momento speciale, anzi unico, in ordine all’incontro e al dialogo del Vescovo con i fedeli”. Un momento di confronto, insomma, anche fuori dalle mura delle chiese, per permettere al Pastore di conoscere, fino in fondo, la condizione del suo gregge.

I tempi sono particolarmente difficili, le insidie non mancano mai e il declino della città avanza inesorabile, accompagnato da uno spaventoso impoverimento che principalmente tocca la cellula primaria della società, la famiglia, per poi allargarsi a macchia d’olio nell’intero tessuto sociale: dai giovani privi di speranza o con la valigia pronta in cerca di un futuro dignitoso, ai commercianti che, dopo continue rapine e furti, sono costretti a chiudere la saracinesca, ai servizi che vengono meno. Adrano è come tante altre realtà siciliane, ma con una classe dirigente incapace di costruire argini al disagio sociale e di fornire prospettive di sviluppo: si preferisce rifugiarsi nella palude e cercare di sopravvivere. E ciò provoca un dolore immenso, come quello di vedere ancora chiuso – terribilmente chiuso – il portone della Casa dei bambini “Sangiorgio Gualtieri”, un luogo di solidarietà e di speranza per cinquant’anni grazie all’operato silenzioso delle suore Figlie di Maria Ausiliatrice, sacrificate sull’altare degli interessi economici.

Sua Eccellenza comprende ciò di cui stiamo parlando. Conosce la situazione. No, non perché sia stato il Sindaco di Adrano ad informarlo, quando le suore sono state costrette a lasciare Adrano. No, non perché sia stato il Sindaco di Adrano ad incontrarlo per tentare una soluzione e scongiurare che si spegnesse per sempre il sogno educativo dei Sangiorgio Gualtieri. No, il Sindaco di Adrano non c’entra nulla. In quell’occasione aveva sollevato le spalle, come a dire: “non posso farci niente”. La resa.

Monsignor Gristina conosce le vicende della Sangiorgio Gualtieri perchè è stata l’Associazione Symmachia, con la presidente Angela Anzalone e i giovani animatori salesiani, nel novembre 2011, ad incontrarlo in Arcivescovado. Un incontro cordiale, intenso, segnato dalla disponibilità dell’Arcivescovo di ascoltare le alternative possibili e verificarne la fattibilità. Ripubblichiamo l’articolo che Chiara D’Amico fece per il Giornale di Sicilia.

L’occhiello del pezzo è eloquente: “La Chiesa disposta a trovare una soluzione per la Casa dei bambini”. In effetti, proprio dopo l’incontro tra Gristina e Anzalone venne individuato un ordine religioso di Siracusa che inviò pure alcune sorelle per un sopralluogo nella struttura di Adrano. Sarà sicuramente un caso, ma in seguito a quel sopralluogo, l’ordine religioso non se la sentì di avventurarsi in un progetto che non prevedeva un impegno concreto della Fondazione “Sangiorgio Gualtieri” e dell’Amministrazione comunale. E dire che i fondatori, nel loro testamento, hanno espressamente chiamato in causa il Comune di Adrano. Ma nessuno lo sapeva. Anche in questo caso, si è reso necessario un intervento dell’Associazione Symmachia che – a proprie spese – è riuscita a reperire copia integrale del testamento dei fondatori, custodito nell’archivio notarile di Catania. Scrivono Marietta Sidoti e Giovanni Sangiorgio Gualtieri:

Istituisco e nomino erede universale di tutti i miei beni il Comune di Adrano, all’unico scopo e con l’obbligo categorico d’istituire in Adrano la “Casa dei bambini Sangiorgio Gualtieri”.

Faccio espresso e categorico divieto al mio erede d’alienare, per qualsiasi ragione, anche un solo metro quadrato delle mie proprietà.

Voglio che l’educazione e l’istruzione di tutti i bambini venga affidata ai Salesiani di Sicilia.

La porta della Casa dovrà essere sempre aperta a tutti i bambini poveri ed abbandonati, primi fra tutti quelli del mio amato paese di Adrano.

Insomma parole chiare, che dovrebbero smuovere le coscienze, anche quelle più dure, pure quelle più fragili. Sono parole che emozionano, ancora oggi, perché viene fuori un amore smisurato per Adrano, per i suoi figli.

Del resto, la missione delle suore andava oltre la semplice presenza nel territorio di una congregazione cristiana. Significava qualcosa di più: rappresentava una risposta forte e incisiva allo sfilacciamento del tessuto sociale, un modo per insegnare ad essere “buoni cristiani e onesti cittadini”, secondo il motto di don Bosco.

Il portone della Casa dei bambini, però, rimane chiuso. Terribilmente chiuso. La struttura – pare – affidata ad una cooperativa privata. Tutto è perduto? No, non ci si può arrendere.

Per questo, Eccellenza reverendissima, quando incontrerà nuovamente il sindaco di Adrano, Ferrante, faccia lei il primo passo: chieda che fine ha fatto la Sangiorgio Gualtieri. Cosa ne sarà di quella struttura, quale sarà il suo futuro. Lo faccia per gli adraniti che, ancora oggi, attendono risposta; lo faccia perché questo è pure un problema della Chiesa locale; lo faccia per quei bambini privati di un’opportunità di crescita. Del resto, è anche questo lo spirito della visita pastorale.

Forse, a lei, Eccellenza, per il ministero che svolge, Ferrante potrà fornire una risposta chiara e sincera. Solo così si renderà giustizia alle suore che, per mezzo secolo, hanno operato con dedizione, ai tre “angeli custodi” del Grest che, undici anni fa, un terribile incidente stradale ha strappato a questa città (suor Marianna Orefice, suor Rosetta Cavarra e Francesco Cottone), alle volontà testamentarie dei Sangiorgio Gualtieri per quel progetto ideato per il loro “amato paese di Adrano”.

Video di Symmachia. Appello per la presenza delle Suore ad Adrano (2011)

Caro Renzi ti scrivo…

in Blog di

di Rosario Di Grazia

Nel momento in cui scriviamo, a Roma si decide il futuro del Partito Democratico.

Le ragioni di una possibile (e probabile) scissione sono tante e non intendiamo illustrarle.

Al segretario dimissionario Rosario Di Grazia, con il suo blog “IlSecolo.eu” intende tuttavia rivolgere un accorato appello. Come ex elettori pd e come cittadini che amano la politica e si interessano del governo della cosa pubblica.

«Caro Matteo,

La tua discesa in campo ha rappresentato, per chi ti scrive, la speranza – forse l’ultima – di un riscatto generazionale, prima e più ancora che di uno svecchiamento della classe dirigente del nostro Paese.

Riscatto generazionale significava – e significa -, per noi, portare al centro dell’azione politica del partito (e del governo) l’abnorme, gravissima e irrisolta questione della diseguaglianza generazionale che affligge il sistema economico-sociale del nostro Paese.

Significava – e significa -, dunque, porre al centro del tuo progetto (e programma) politico la riduzione di queste diseguaglianze, avvertite con sempre maggiore coscienza come intollerabili da una sempre più larga fetta di giovani concittadini.

Significava – e significa – anteporre alla conquista dei consensi – col serio rischio di perderli – la capacità, il coraggio, la forza – come diceva James Freeman Clarke – di guardare alla prossima generazione anziché alla prossima elezione.

Tentare di ripianare queste diseguaglianze significava – e significa -, solo per fare qualche esempio, essere intellettualmente onesti coi tuoi concittadini; dire loro la verità sulla drammatica situazione dei nostri conti pubblici; richiamarli alle loro responsabilità – perché se a questo punto siamo arrivati non è certo responsabilità tua ma di un intera classe dirigente (e di un intero popolo) che dello Stato ha sempre diffidato e allo Stato ha sempre sottratto le energie migliori; chiedere – e pretendere – a chi aveva di più di dare di più; saldare il grande debito generazionale in materia assistenziale e previdenziale; puntare su qualità della formazione di una coscienza critica delle nuove generazioni e su qualità e garanzie del lavoro; preservare la qualità del funzionamento delle istituzioni; battersi contro il sensazionalismo e governare con buon senso, empatia, equilibrio, onestà intellettuale.

Tutto ciò non era – e, a maggior ragione, non è – affatto facile.

Ma è nella tempesta che si vede la capacità del capitano di portare in salvo la nave, l’equipaggio e i suoi passeggeri. Ed è dopo la tempesta che un vero capitano, se qualcosa è andato storto, si accerta degli errori eventualmente commessi e dei danni cagionati dalla sua condotta e si assume la responsabilità del suo operato. E dinanzi ai suoi ufficiali, al personale di bordo ed ai passeggeri chiede perdono per gli errori commessi e accetta serenamente il giudizio della storia. Ché se ha operato in perfetta buona fede per approdare in quel porto tanto angusto quanto necessario da raggiungere, non avrà nulla da temere, sapendo di aver navigato in acque agitatissime e che chiunque al suo posto avrebbe trovato difficoltà quantomeno eguali. E, con l’umiltà e l’onestà intellettuale che solo i grandi comandanti possono avere, affida loro l’incombenza di scegliere un altro capitano con un bagaglio di competenza tecnica, esperienza e capacità di scrutare il mare che essi ritengono migliore della sua; e si mette subito a loro disposizione per offrire il suo indispensabile supporto.

Oggi l’Italia intera deve sperare che tu sia quel gran capitano di cui la nostra vecchia e acciaccatissima nave ha disperatamente bisogno. E in assenza del quale si vedrebbe costretta a conferire il comando a marinai tanto giovani quanto inesperti.

Sperarlo significa voler bene all’Italia. Farlo, per te, significherebbe amarla più di te stesso.

E quando si è provato, senza successo, a guidar la baracca per condurla in salvo e ci si è resi conto di aver fallito, si può passare alla storia non solo per essere stato il protagonista di quel fallimento ma anche per aver avuto il coraggio di anteporre gli interessi della baracca a quelli personali e particolari.

Questo ti auguriamo, Matteo! Questo colpo di reni finale, che farebbe indubbiamente parzialmente ricredere noi come tanti altri.

Cordialmente,

Rosario Di Grazia | IlSecolo.eu

Dal Jobs Act ai Referendum della Cgil: come cambia il mondo del lavoro

in Politica di

di Gaetano Sant’Elena*

L’impatto della riforma sul mondo del lavoro non può certo essere valutato in tempi così rapidi (i primi decreti sono entrati in vigore a marzo, gli ultimi a fine settembre dello scorso anno), né va confuso con gli effetti – positivi, dicono i dati – dell’esonero per tre anni dei contributi INPS per le assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2015, stabilito con la Legge di Stabilità approvata a fine 2014, per coincidenza negli stessi giorni del Jobs Act, né tantomeno gli effetti meno agevolativi delle successive leggi di stabilità 2015 e 2016 che li hanno notevolmente ridotti.

La portata della riforma deve essere letta nei termini della semplificazione della materia lavoristica, in quanto essa è di facile lettura e cerca di uniformare le decisioni dei Tribunali, da un lato e dall’altro cerca sempre un accordo, anche se in sede protetta (soprattutto sindacale) delle vertenze fra datore di lavoro e lavoratore e non tanto sui numeri assoluti “di nuove assunzioni” che riguardano ampiamente la natura dell’economia italiana e più in generale mondiale. Tutti ormai comprendiamo che il vero problema dell’occupazione (in regola) è la non sostenibilità da parte delle aziende del costo del lavoro, sia in tema di retribuzioni che in tema di contribuzione. In momenti di crisi, forse le parti sociali avrebbero dovuto avere come obiettivo primario la crescita del sistema Paese ed in particolare delle aree più depresse della Nazione. Un esempio per tutti: con limiti aziendali sarebbe stata opportuna una deregulation della contrattazione collettiva nazionale e l’adozione di salari minimi garantiti di settore o contratti d’area accompagnati da una riduzione sensibile del costo della contribuzione. Ma su questi temi potremmo scrivere fiumi di parole e trattati, ma non è opportuno togliere spazio a quello che è la riforma del 2015.

I punti salienti della riforma, riguardano i temi dei licenziamenti, degli ammortizzatori sociali, i congedi per i genitori lavoratori, il nuovo codice dei contratti di lavoro, le politiche attive del lavoro e la riforma dei controlli.

Come cambiano i licenziamenti

Non cambia niente per chi è stato assunto prima del 7 marzo 2015. Per chi è stato assunto dopo il decreto esclude, per i licenziamenti economici, la possibilità della reintegrazione nel posto di lavoro e prevede un indennizzo economico crescente con l’anzianità di servizio. Il diritto alla reintegrazione è limitato ai licenziamenti nulli e discriminatori, e a particolari casi di licenziamento disciplinare ingiustificato. Il decreto prevede inoltre termini certi per l’impugnazione del licenziamento.

Come cambiano gli ammortizzatori sociali

Trattando di misure che hanno l’obiettivo di offrire sostegno economico alle persone che hanno perso il posto di lavoro, il decreto riscrive la normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, introducendo nuovi strumenti e nuove sigle: ASPI, NASPI, ASDI e DIS-COLL, quelle che un tempo chiamavamo “assegni per la disoccupazione”.

Cosa cambia per i genitori che lavorano

Il decreto interviene principalmente sulle norme che regolano il congedo di paternità e maternità – cioè l’astensione obbligatoria dal lavoro al momento della nascita del figlio o dell’arrivo di un bambino in affidamento o in adozione – e poi il congedo parentale (facoltativo) e i diritti dei genitori che sono lavoratori autonomi o iscritti alla Gestione Separata INPS, introducendo anche alcune novità sul congedo per le donne vittime di violenza di genere e sul telelavoro.

Come cambiano i contratti di lavoro

È sicuramente la più corposa tra le norme approvate: modifica sia il codice civile che diverse leggi sul lavoro, abrogando due interi decreti e numerosi altri articoli. Il Jobs Act infatti riscrive la disciplina di molti contratti di lavoro – per esempio la collaborazione a progetto, la somministrazione, il lavoro a chiamata, il lavoro accessorio, l’apprendistato, il part-time – dando alcune indicazioni precise ma contemporaneamente lasciando aperte molte possibilità di deroga ai contratti collettivi nazionali. Tutto a partire dal fatto che “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune del rapporto di lavoro”: un’indicazione semplice ma importante, che definisce a quale tipo di lavoro vadano ricondotti i contratti più “leggeri” che non rispettano i limiti che la norma impone.

Come cambia la cassa integrazione

Il decreto riordina la normativa in materia di ammortizzatori sociali “in costanza di rapporto di lavoro”, abrogando oltre 15 leggi stratificatesi negli ultimi 70 anni, dal 1945 a oggi, con una sola norma che racchiude – quasi – tutto il settore. Le forme di cassa integrazione diventano due – ordinaria e straordinaria, sparisce la cassa integrazione in deroga – e possono essere utilizzate dalle imprese per eventi transitori che richiedono meno ore di lavoro, crisi aziendali e riorganizzazioni: dai dati del governo, complessivamente le misure coinvolgeranno circa 1.400.000 lavoratori e 150.000 imprese che prima ne erano escluse.

Come cambiano le politiche attive

Il nuovo decreto riordina la normativa in materia di servizi per il lavoro e di “politiche attive”, cioè le iniziative volte a promuovere l’occupazione: rinforza e riorganizza la rete degli enti coinvolti nel settore, vincola l’erogazione dei “contributi di sostegno al reddito” alla partecipazione attiva di chi dovrà percepirli, coinvolge stabilmente i soggetti privati che possono fare da intermediari, semplifica la possibilità di impiego dei lavoratori in cassa integrazione in lavori per la collettività e allarga la portata del cosiddetto “fascicolo elettronico” del lavoratore.

Come cambiano gli organi di controllo

Il DLgs 149/2015 istituisce un’agenzia unica per le ispezioni del lavoro, denominata Ispettorato del Lavoro, che svolge le attività ispettive finora compiute dalle Direzioni Territoriali del Lavoro, da INPS e INAIL. Tutto il personale ispettivo delle DTL confluisce nella nuova agenzia; il personale ispettivo di INPS e INAIL resta invece nei rispettivi enti “ad esaurimento”, ma segue le direttive e la programmazione dell’Ispettorato. Per una maggiore efficacia ispettiva, INPS, INAIL e Agenzia delle entrate sono tenuti a condividere con l’Ispettorato le proprie banche dati.

Sulla carta non è un cambiamento troppo significativo: qualcosa di più incisivo nel settore ispettivo sarebbe dovuta avvenire se si sarebbe portata a termine la riforma del Titolo V della Costituzione, con il ritorno allo Stato delle competenze in materia di sicurezza sul lavoro attualmente in gran parte di competenza regionale. Ma non è andata così. Per dovere di cronaca ad oggi la riforma in Sicilia non è applicata in quanto manca il decreto assessoriale.

Il DLgs 151/2015, l’ultimo dei decreti approvati, tratta invece aspetti puntuali di materie molto differenti: cambia perlopiù parti di singoli articoli, con modifiche volte alla “razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità”.

Le disposizioni contenute nel decreto possono essere suddivise in tre gruppi fondamentali:

– Semplificazioni di procedure e adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità, costituzione e gestione del rapporto di lavoro, salute e sicurezza sul lavoro e assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, revisione delle sanzioni in materia di lavoro e legislazione sociale.

– Disposizioni in materia di rapporto di lavoro, con una piccola revisione della disciplina dei controlli a distanza del lavoratore; la possibilità per i lavoratori di cedere, a titolo gratuito, ai colleghi, i riposi e le ferie maturati, al fine di assistere i figli minori; l’introduzione per i lavoratori del settore privato di ipotesi di esenzione dal rispetto delle fasce di reperibilità in caso di malattia; l’introduzione di modalità semplificate per effettuare le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, esclusivamente con modalità telematiche.

– Disposizioni in materia di pari opportunità, rivedendo ampiamente la normativa sulle consigliere di parità.

I quesiti referendari della Cgil: firmano 3 milioni di italiani

La CGIL si è opposta alla riforma del mercato del lavoro. Più una presa di posizione per quanto riguarda le modifiche all’art. 18 della 300/1970 in tema di licenziamenti e difesa del “lavoratore”, che sulla portata della riforma in tema di occupazione e difesa del “diritto al lavoro”.

In quest’ambito avviene la raccolta delle firme per avviare l’iter abrogativo della neonata riforma concentrandosi fondamentalmente sul “contratto di lavoro a tutele crescenti” oltre che all’abolizione del “lavoro accessorio” (voucher lavoro) e sulla responsabilità del committente negli appalti (pubblici e privati) per il trattamento economico dei dipendenti.

Come ormai tutti sappiamo la Consulta non ha ritenuto approvare il quesito sui licenziamenti ammettendo in via residuale gli altri due.

A mio avviso non cambierà nulla sia se l’attuale Governo apporterà quel minimo di modiche che impediranno il referendum, sia se il Capo dello Stato decidesse di indire la consultazione. In quest’ultimo caso sarà difficile il superamento del quorum (come ormai avviene di regola) e quindi la riforma non subirà alcun cambiamento.

Cambierà invece, in termini negativi, la politica ed i rapporti sindacali: un sindacato più debole chiuso a riccio su principi ormai anacronistici e distante dei veri bisogni dei lavoratori che sono quelli della certezza del lavoro (anche se precario e flessibile) ma costante nel tempo.

 

consulente del lavoro | Studio Sant’Elena

Vaccini: un po’ di chiarezza sulla questione

in Attualità di

di Grazia Maccarrone

La vaccinazione costituisce la migliore arma per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive. Un vantaggio notevole è che questi possiedono un’azione protettiva, oltre che sul singolo individuo vaccinato, sulla comunità intera. Un vaccino ideale deve essere ben tollerato, efficace, altamente innocuo, di facile utilizzo e poco costoso. Gli obiettivi principali di questa pratica sono sicuramente due: primariamente provocare una risposta immune nell’individuo con lo scopo di proteggerlo da una determinata patologia; il secondo obiettivo è invece limitare la diffusione di questa, se non addirittura eradicarla in maniera definitiva (come nel caso del Vaiolo nel 1979).

I vaccini possono essere somministrati singolarmente o in combinazione. Nel caso dei vaccini combinati si sfrutta la capacità del nostro sistema immunitario di riconoscere e agire contemporaneamente su più antigeni (ad esempio il vaccino trivalente contro difterite, tetano e pertosse, il vaccino trivalente contro tre tipi di virus della poliomielite e il vaccino trivalente contro morbillo, parotite, rosolia). Purtroppo mantenere a livelli elevati i tassi d’immunizzazione sta diventando sempre più difficile. Infatti la minaccia di queste malattie comincia a essere considerata dalla collettività sicuramente meno reale poiché molte patologie, proprio grazie alla vaccinazione, non vengono più contratte dalla maggioranza delle persone. Questo è da considerarsi un errore di valutazione, che potrebbe portare a delle conseguenze negative come il riemergere della patologia stessa qualora non fossero mantenute coperture vaccinali adeguate.

Un aspetto importantissimo, sul quale oggi spesso fanno leva molte correnti anti-vacciniste, è senza dubbio la sicurezza della vaccinazione. Alla somministrazione del vaccino stesso deve seguire una percentuale minima di effetti collaterali, questa deve essere commisurata in ogni caso con la gravità della malattia stessa. I vaccini sono efficaci e sicuri, ma va comunque ricordato che nessun vaccino, così come nessun farmaco o nessuna attività di tipo medico, è totalmente privo di rischi o complicazioni. C’è anche da dire però, per onestà scientifica, che la frequenza degli effetti indesiderati successivi a una pratica vaccinale è nettamente inferiore agli effetti avversi e alle complicazioni che potrebbe causare la malattia stessa contro cui si vuol generare immunità. Per una maggiore chiarezza, si potrebbe fare l’esempio del morbillo il quale, una volta contratto dall’individuo, potrebbe presentare come effetto collaterale più grave l’encefalite. La casistica riporta 1 malato su 2.000 e nel 40% di questi casi può lasciare l’individuo con un’invalidità permanente. La stessa complicazione, come effetto indesiderato dovuto alla vaccinazione, si può verificare in 1 caso su 1.000.000 di dosi di vaccino. Questi dati sono indicativi.
Effetti collaterali sicuramente più diffusi ma più innocui dovuti alle vaccinazioni sono: reazioni locali (gonfiori, arrossamenti) e generalizzate (febbre, vomito e reazioni allergiche controllabili) che, se messi a paragone con le complicanze maggiori delle diverse patologie, sono sicuramente meno gravi.

Si è inoltre parlato molto del fantomatico rapporto tra vaccini e autismo. Nel 1998 il medico inglese Andrew Wakefield pubblicò sul Lancet, rivista medica scientifica di un certo spessore, uno studio che segnalava un possibile legame tra autismo e vaccino trivalente per morbillo, parotite e rosolia. Lo studio prese in esame dodici bambini con sintomi di tipo autistico, che in otto casi erano iniziati due settimane dopo la somministrazione del vaccino stesso. La ricerca però non individuò un nesso causale certo. Si scoprì addirittura che i dati della ricerca erano stati contraffatti per motivi economici e falsificati per trarne profitto. Il medico fu ovviamente radiato dall’albo.
Nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un report ufficiale su questo dibattito: “I dati epidemiologici disponibili dimostrano in modo conclusivo che non esiste alcuna prova di un’associazione causale tra vaccini per morbillo, parotite e rosolia, e lo sviluppo di disturbi dello spettro autistico. Gli studi che in passato hanno suggerito l’esistenza di questo link causale si sono rivelati essere delle frodi che contenevano importanti errori metodologici”.

L’Italia negli ultimi anni ha toccato livelli di adesione alle vaccinazioni in discesa, sotto la soglia di sicurezza: il 95% di copertura per i cosiddetti vaccini obbligatori, mentre per gli altri vaccini (non obbligatori) come il trivalente per morbillo, parotite e rosolia, si parla al massimo dell’85%.
E’ fondamentale che i medici di famiglia siano informati e aggiornati circa i vaccini, in modo che possano a loro volta informare i loro pazienti dei benefici della vaccinazione e sugli eventuali, anche se rari, rischi comprovati.  Se il numero delle adesioni a questa pratica cadesse in maniera consistente, l’incidenza di molte patologie andrebbe sicuramente ad aumentare.
In una nota, sottolinea ciò l’Istituto Superiore di Sanità: “Scendere sotto le soglie minime significa perdere via via la protezione della popolazione nel suo complesso, e aumentare contemporaneamente il rischio che bambini non vaccinati si ammalino”.

Benedetto Viaggio, un partigiano biancavillese in campo di concentramento.

in Homines di

di Nino Longo

Nel giorno della Memoria, vogliamo ricordare un biancavillese, Benedetto Viaggio (1904/1947), che su delazione di una spia fascista, a Genova, insieme ad altre 30 persone, fu arrestato e processato come terrorista dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato.
Dal processo uscì assolto per insufficienza di prove e purtuttavia fu inviato in un campo di concentramento a Bolzano, sotto la vigilanza delle SS tedesche, dove venne trattenuto dal 12 settembre 1944 al 29 aprile 1945, sottoposto a continue sevizie.
Fu liberato dai Partigiani e quindi divenne Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale a Genova, con il delicato compito di liberare le istituzioni locali della presenza dei fascisti.
Morì qualche anno dopo in seguito alle sofferenze subite durante la prigionia nazista.

Agevolazione pagamento vecchi debiti: “Amministrazione Ferrante immobile”

in Attualità di

“La legge che consente di mettersi in regola con il pagamento anche a rate di tasse e multe arretrate c’è, ma ad Adrano rischia di non essere applicata per l’immobilismo dell’Amministrazione Ferrante che, inspiegabilmente, non si è ancora attivata per dare quest’opportunità ai cittadini che, senza incorrere in sanzioni, potrebbero sanare i loro debiti, in un periodo di crisi economica che, spesso, non consente l’immediato pagamento di tutte le imposte”.

E’ la denuncia dell’Associazione culturale Symmachia che condivide l’iniziativa avviata dall’Assoconsum di Adrano e che sollecita un intervento immediato dell’Amministrazione e del Consiglio comunale, così come richiesto con un’istanza presentata, tra gli altri, anche dal consigliere comunale di “Symmachia” Pietro Franco.

Symmachia spiega i vantaggi che ne potrebbero derivare per i cittadini dall’attuazione di un regolamento comunale che potrebbe consentire alla gente di dilazionare in rate il pagamento di vecchi debiti con la pubblica amministrazione, deputati dagli interessi accumulati e senza sanzioni. In questo modo, l’effetto sarebbe duplice: da un lato, i cittadini verrebbero messi al riparo da ulteriori multe e avrebbero l’opportunità di sanare la loro posizione fiscale, dall’altro, il Comune incasserebbe somme certe, di certo utili in un momento disastroso per le casse dell’Ente. Ma c’è tempo fino al 31 gennaio prossimo.

“Un’Amministrazione seria e attenta alle difficoltà della gente avrebbe già informato la città e avrebbe attivato tutte le procedure necessarie per non sprecare quest’opportunità. – sottolinea il presidente di Symmachia, Calogero Rapisarda – In un contesto di crisi economica in cui la tassazione è alle stelle, questo strumento previsto dalla legge consentirebbe alla gente perbene di mettersi in regola e porterebbe ad una riduzione dell’evasione. Ha ragione il responsabile dell’Assoconsum Moncino a sostenere questa iniziativa. Come sempre, l’immobilismo dell’Amministrazione Ferrante condanna la città a rimanere ferma e a perdere opportunità come già accade in tanti altri ambiti, come ad esempio la raccolta differenziata o l’incapacità di intercettare finanziamenti per realizzare vere opere pubbliche come la sistemazione di contrada Naviccia o della strada dello stadio, anziché limitarsi a piccoli interventi di manutenzione, spesso, peraltro, del tutto fallimentari”.

I Lager a casa: la tragedia del n. 102883/IIA

in Homines di

di Placido Antonio Sangiorgio*

Mi sono chiesto più volte cosa avrebbe pensato mio padre, se avesse saputo che un giorno la sua vita, o meglio la scelta che pregiudicò per sempre “gli anni più belli”, avesse riscosso tanta curiosità e interesse nelle aule di scuola, proprio tra i ragazzi, che alcuni decenni prima – e per generazioni intere -, aveva profondamente amato e a cui aveva voluto consegnare una lezione profonda e sofferta di vita.

Ricordo il suo rifuggire le prime file, il vivere discreto, alimentato da quella Fede che era stata sempre speranza. Soprattutto nei momenti più bui. Così, accoratamente, lo ricordò il prevosto Carmelo Maglia ai funerali: “Lo ricordo sempre in fondo, negli ultimi banchi, solo, in silenzio, a parlare con il suo Dio.”

Ma quanto difficile raccontare i lager, in una società che non comprende. Ripeteva “non si può capire”, “si perdeva l’umanità”.

Era stato un dramma per lui, pacifista convinto, che amava la letteratura e il cinema – soprattutto quello “all’aperto” che vedeva dal tetto di casa, ricordando ancora negli ultimi anni, con lucidità, il passaggio dal muto al sonoro in una pellicola con la sola frase “… perdonalo anche tu!”- essere chiamato alle armi improvvisamente.

Tutto ebbe inizio il 10 giugno 1940, quando si apprestava alla licenza liceale. I ritmi duri di un servizio militare non scelto, la partenza per la campagna di Grecia.

Eppure da questo dramma, a me bambino, non mancò mai di regalarmi qualche sorriso, quando raccontava del clima gelido dell’Italia del Nord e di una camicia stesa la sera e trovata ghiacciata l’indomani, «come una pala di baccalà», o di una esercitazione in cui si trovò scaraventato alla deriva sopra un motociclettone lanciato a tutta velocità.

Poi il racconto si faceva cupo, lucido e sempre sofferto, quando dalla gioia per l’anuncio dell’Armistio, dopo i giorni in cui aveva partecipato al Congresso eucaristico a Berceto, si passava alla sera dell’8 settembre 1943 a Parma. Il giorno in cui la bella lattaia gli aveva proposto la fuga, come a molti compagni di camerata, procurandogli gli abiti civili, di fronte a un nebuloso, nefasto, presagio, palesatosi già nel via vai convulso sulle scale della caserma. Ma lui ligio al dovere, responsabile, in linea col padre, maresciallo delle guardie reali, che non aveva mai osato chiedere per vie preferenziali un suo avvicinamento, rifiutò.

Seguirono le urla, il “Raus Raus”, col mitra tedesco alle spalle. E dopo non aver ceduto alla lusinga della libertà, in cambio del suo prestar fede a Salò, vennero i vagoni piombati, in condizioni indicibili: un solo sportellino per prendere aria e gettare gli escrementi dopo giorni di viaggio.

Il “mani in alto”, la perquisizione, le stellette e le mostrine strappatigli di dosso nel KZ di Neubrandenburg. E poi il rosario dell’ “Italiener Scheisse”, o “Badogliani”, “Traditori”, l’essere ricordati solo dalla “Patria” con una tazzina di riso una volta al mese, e solo nel primo periodo, quello  in cui era possibile far filtrare qualche cartolina a casa.

Il divenire numeri, non più Gerardo Sangiorgio, bensì il 102883/IIA. E per lui che conosceva il francese il trasferimento dopo un po’ in un altro lager a Bonn, tenuto soprattutto conto del gonfiore al viso per l’insufficiente alimentazione, travisato come abilità al lavoro (provvidenziale per la sua salvezza).

Qui teorie infinite di freddo,  fame, umiliazioni. Gli sputi tedeschi addosso, lo spegnergli le cicche delle sigarette a carne viva. E lui ancora fiero della sua scelta, ancora di fronte all’ultimo tentativo nazista: “Se passate con noi sarete liberi” (chissà quanto reale!?).

E come vita di tutti i giorni la corrente elettrica che attraversava il filo spinato, lo sguinzagliare i cani se qualcuno tentava la fuga. “Come potevano – si chiedeva fino all’ultimo – i tedeschi che tanto amavano i cani, o che avevano tanta cura per gli uccelli, lasciare morire così gli uomini. Così crudeli e dal cuore di pietra di fronte a un principio universale elementare.

L’allucinante condizione umana: c’era chi per eludere un solo turno di lavoro si mozzava un dito con una scure, e chi desiderava che qualcuno, in virtù delle precarie condizioni di salute, rimettesse per bere il vomito.

Intanto gli Americani erano alle porte: un bombardamento a tappeto sulla sua fabbrica, che  segnò la tragica fine di alcuni prigionieri. E lui trascinato all’indietro dai piedi, perchè ritenuto già morto da un commilitone in cerca di qualche vestito.

In quei giorni l’ulteriore tragedia di vedere rubata la sua cassetta, con i diari scritti anche con l’effimera luce di un fiammifero di notte, qualche numero de “L’amico della gioventù” e soprattutto le sigarette da lui accumulate che gli facevano ottenere, grazie al baratto con i russi in primis, qualche fettina sottilissima di pane o qualche buccia di patata: vale a dire la vita.

In quei giorni aveva assistito alla morte nel lager di Dessivo Pietro Mangerini. E per sottrarsi a quell’alienazione ripensava al suo Liceo, ripercorreva con la mente i versi della “Divina Commedia” e il meglio della produzione dei Poeti, e stringeva una reliquia di S. Gerardo, cucita all’interno della casacca con qualche altro santino.

Eppure ricordava anche un gesto di carità, rimasta sempre anonima: una mano che lasciava scendere con una cordicella un contenitore della spazzatura: dentro qualche rimasuglio di cibo, spesso u pezzettino di pane. E lui a vegliare, fin quando sicuro di non dare all’occhio poteva avvicinarsi alla pattumiera. Mano che non volle mai farsi associare a un viso. Un uomo o una donna? Mano che non volle mai un ringraziamento: il bene per il bene, a rischio della vita. Semplicemente.

Eppure era la Provvidenza, che lo voleva ancora vivo. I tedeschi in fuga avevano lasciato un deposito di pane intatto, nei pressi del tunnel che stavano scavando. Era sembrato a tutti di toccare il cielo con un dito. Mio padre giunse ultimo. Non c’era più nulla per lui. Poco dopo la constatazione che i nazisti avevano pensato bene di avvelenare ogni cosa. La sua delusione si era trasformata presto nella sua salvezza.

Intanto un quotidiano, quel 10 agosto del ’45, riportava la notizia del bombardamento di Nagasaki. Raggiunse così casa della zia Lucia (la parente che scrisse a Pio XII per interessarlo alla vicenda), facendosi annunciare da una vicina come un soldato che aveva notizie di suo nipote; seguirono le cure (la rialimentazione progressiva – tanti morirono al rientro per non aver saputo dosare il cibo -).

E poi il rientro a casa a Biancavilla, dove il padre per lunghi mesi lo aveva atteso ogni giorno alla fermata della Littorina, mentre la madre aveva fatto voto a S. Rita.

In casa, intanto, si era sovrapposta, per sempre, un’incisione della Madonna, portata dalla Germania, al quadro del Re.

Giunse la laurea, sudatissima e frutto di innumerevoli sacrifici. Atto “eroico”, com’ebbe a dire al padre un suo compagno di Liceo. E da qui la sua testimonianza sempre viva.

Ma qual’era l’insegnamento che a casa volle trasmetterci?

Si lasciava andare espressioni come “Mhei, per me era un sogno, un miraggio”, di fronte a un po’ di cibo che rimaneva nel piatto. Oppure imboccava me e mia sorella fino all’ultima stellina o pezzettino di pastina lasciata del piatto.

E per lui c’era spesso il pane raffermo che si bolliva anche con sola acqua. Non potevamo capirlo noi, viziati dalla società dello spreco, che aveva incoscientemente voltato pagina, che non aveva mai conosciuto la fame, che ci concedeva ben altra sorte e ci lusingava con la pubblicità del consumo.

Ma lui, segnato nell’intimo, non riusciva a vedere un film in cui la voce di un soldato tedesco affiorasse con la rabbia e la crudezza che aveva conosciuto.

Spesso nelle festività arrivava a casa la telefonata di Luigi Ciacciarelli, deportato insieme a lui, che gli confidò “Tu mi hai salvato la vita”, a seguito di una rischiosa intercessione che mio padre fece con un ufficiale che voleva punirlo, in lingua francese.

Forse ancor una volta riemergeva l’animo ragazzo di ventitrè anni che aveva trascritto una serie di canti del lager, per infrangere l’atrocità della condizione. Parole piene di speranza e dolore. Erano canzoni alimentate dall’antifascismo e dalla protesta per l’ingiustizia di ogni conflitto.

Non posso dimenticare l’orgoglio quando si vide recapitata una busta con dentro il diploma di “Combattente per la Libertà d’Italia” a firma di del presidente Pertini e del ministro Spadolini, in quanto internato “non collaborazionista”.  Forse il suo sacrificio era servito a qualcosa.

Non so quanto e se abbia gioito alla fine dell’89, alla notizia della riunificazione tedesca, chissà quali incubi gli  ritornarono in mente.

I figli sono sempre i meno indicati a parlare dei propri genitori. Troppo delicata e intima la prospettiva. Ma in taluni casi il quadro familiare ha diritto a una sua estensione, quando il significato incide aspetti più profondi e tocca corde universali.

Un’esistenza, dunque, quella di mio padre, che ha lasciato una traccia nella memoria, per l’affermazione silenziosa e decisa di una via giusta, difficile e solitaria: una scelta affrontata lucidamente, una professione di fede che non può prescindere dall’azione, dalla scelta, anche a rischio del bene più grande. Una lezione.

*La testimonianza dell’amico Dino Sangiorgio è stata pubblicata, negli scorsi anni, nella nostra testata giornalistica cartacea.
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