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La rivolta di un popolo contro un’oligarchia che ruba ai poveri per dare ai ricchi

in Antonio Cacioppo/Attualità di

La Francia è in ebollizione, l’impressione netta è che gli umiliati, gli ultimi, gli sfruttati, i reietti della globalizzazione si siano stancati. Contadini, studenti, autotrasportatori, impiegati, un popolo in rivolta. Rivolta spontanea, senza intermediari, senza partiti e sindacati, questo movimentismo terrorizza i potenti, preoccupa i tiranni, e dimostra come le vecchie categorie politiche del secolo scorso siano definitivamente tramontate, grazie ad un’opposizione non più orizzontale (destra-sinistra) ma verticale: popolo contro élite, poveri contro ricchi, dominati contro dominanti. Ed è inutile che uno spregevole ceto giornalistico, prezzolato dal potere, tenti una narrazione dei fatti tesa a sporcare l’immagine  dei gilet gialli, descrivendo la loro azione come una “misera” protesta contro il caro carburanti. No, cari giornalisti o “sottoclasse dominata all’interno della classe dominante”, come vi ha definito Costanzo Preve, questa rivolta è un miracolo che non riuscite a capire.

Come non riuscite a capire la vera natura del liberalcapitalismo che si è materializzata con le immagini della umiliazione riservata agli studenti costretti dalla polizia a inginocchiarsi o alla terribile scena delle percosse ad un disabile, repressione violenta di un governo che risponde solo alle istituzioni finanziarie, alle multinazionali e alle banche. Non capite che le persone  vivono ormai nella sensazione di essere state abbandonate da un’élite che si è trasformata in in casta, non capite che si è prodotta una frattura che segna la fine di un ciclo storico, non capite che un mondo sta morendo ed un altro, anche se a fatica, sta per nascere.

Per non parlare degli intellettuali proni al pensiero unico, a cui sfugge totalmente la comprensione di una sollevazione fatta da un popolo intero, un popolo che si è tentato invano di eliminare dalla storia, ma che è ancora vivo, un popolo che vuole tornare libero, libero di scegliere.                                                                                                                                                                                                                                        Un popolo che cresce nella autoconsapevolezza rivoluzionaria per i diritti.

Un popolo in tumulto, che diventa fiume in piena, che cresce a dismisura, esonda senza vincoli ideologici o di classe.

Un popolo vero, genuino, portatore di interessi generali e di bisogni giusti.

Un popolo in rivolta contro lo spirito corrotto delle élite neoliberiste, espressione di un establishment malato, malato di globalizzazione, di sete di profitto, di mercificazione, di mercatismo che ha come unico obiettivo il denaro.

Un popolo che indica la strada per una rivolta etica, un’etica eroica, nobile, di una nobiltà visionaria e sognatrice, desiderosa di un sogno puro e spontaneo di riscatto, sogno come rivalsa spirituale contro ogni iniquità, contro ogni abbrutimento.

Un popolo contro un’oligarchia che ruba ai poveri per dare ai ricchi.

Finanziaria coraggiosa, si parte dai poveri, mondo della finanza indispettito, il ricordo va ad una donna straordinaria: Maria Baratto

in Antonio Cacioppo/Attualità di
Finanziaria coraggiosa, si parte dai poveri, dai disoccupati, dalle pensioni di fame, mondo della finanza indispettito, Europa allarmata con i suoi accoliti serventi e il ricordo va ad una donna straordinaria: Maria Baratto.

di Antonio Cacioppo

                Vittime                                          e                                          Carnefici

E’ stata varata dal Consiglio dei Ministri la manovra finanziaria, una manovra, per certi versi storica, perché sembra andare verso una direzione opposta alle politiche dominanti, una manovra che va verso i dimenticati, i precari, i senza futuro, i senza voce, gli ultimi. E la mia attenzione, come in preda ad un riflesso condizionato, va a due figure paradigmatiche, Sergio Marchionne e Maria Baratto. Esse rappresentano meglio di ogni altra cosa, la posta in gioco in termini di futuro per la nostra società, rappresentano due mondi diversi, un mondo intriso di barbarie e l’altro che lotta per la civiltà, da una parte la disumanizzazione e dall’altra l’umanesimo del lavoro, da una parte i carnefici e dall’altra le vittime.

Il 14 Settembre si è svolta a Torino la messa  in commemorazione di Sergio Marchionne. Niente di speciale, direbbe qualcuno, a due mesi dalla sua scomparsa si è trattato soltanto di un modo per ricordarlo. Tutt’altro, la messa di suffragio si è trasformata nel ricordo non tanto dell’uomo ma del manager, non è stata solo una funzione religiosa ma una manifestazione ideologica per celebrare un sistema, il sistema che il manager incarnava. “Marchionne – ha detto durante l’omelia l’Arcivescovo di Torino Nosiglia – ci ha insegnato a non aver paura delle novità”, ed Elkann, commosso, ha ricordato che Marchionne amava dire: ”io sono un metalmeccanico”.  Affermazioni queste, che superano ogni limite e decenza. Non si può far finta di nulla. Rabbia, sdegno, disgusto possono essere  esternate con l’unica arma in mio possesso: le parole.

Rabbia, sdegno e disgusto per  l’orda di intellettuali, politici, giornalisti, arcivescovi e persino sindacalisti, tutti accomunati dall’ideologia del “lecchinismo”, rabbia, sdegno e disgusto per i fiumi di parole, per la celebrazione, per la beatificazione agiografica, a reti unificate, dei presunti meriti del “santo”con il pullover.

Disprezzo per questa classe imprenditoriale che impone la segmentazione del lavoro, le gabbie “mansionarie” . Cosa volete, il pensiero unico non permette  di ricordare che il manager italocanadese ha cacciato dall’azienda alcuni iscritti alla Fiom, ha fatto passare il numero di operai della FIAT da 120000 del 2000 ai 29000 di oggi, ha costretto gli operai a piegare la testa, pena il licenziamento, per costringerli ad accettare contratti capestro.

Marhionne – dimenticando le cospicue risorse elargite dallo Stato Italiano alla Fiat – ha licenziato e precarizzato, ha desertificato e delocalizzato l’industria automobilistica italiana ,annientandola di fatto. Profondo rispetto per il dolore della sua famiglia ma un fermo no alla sua celebrazione. Piuttosto, bisognerebbe commemorare le tante vittime, una fra tutte, la più rappresentativa: Maria Baratto

Maria era una quarantasettenne cassaintegrata da sei anni della FIAT di Nola, morta suicida il 26 Maggio 2014. La sua è una vicenda emblematica della realtà italiana e mondiale, una realtà dominata dal totalitarismo mercatista e liberista. Cassaintegrata, cioè parcheggiata, senza lavorare, senza mansioni, era stata “reclusa”, “deportata”, insieme ad altri 316 operai in un reparto “confino”, disorientata, sospesa nel limbo dell’inattività che l’ha spinta verso il baratro del suicidio. Uomini e donne in carne e ossa trattati come merce avariata non più funzionali al profitto dell’azienda, uomini e donne che non rientrano più negli standard produttivi…vero Marchionne?

Uomini e donne privati della loro dignità, derubati della loro libertà, defraudati del loro futuro, uomini e donne sacrificate in nome del Dio profitto.

Due anni prima del suicidio Maria Baratto aveva scritto su un giornalino degli operai di Pomigliano un articolo molto significativo che lasciava presagire qualcosa di terribile:”Suicidi in FIAT”.

Ecco cosa scriveva la Baratto: “ Dopo aver lucrato negli anni scorsi finanziamenti pubblici multimiliardari, lo speculatore Marchionne chiude e ridimensiona le fabbriche italiane e delocalizza la produzione all’estero per fare profitti letteralmente sulla pelle dei lavoratori…il tentato suicidio di Carmine P.…il suicidio di Agostino Bova…sono la punta di un iceberg della barbarie industriale e sociale in cui la FIAT sta precipitando i lavoratori.”

Questo è stato il lascito di un donna straordinaria la cui denuncia squarcia il velo di ipocrisia e mette a nudo il più grande dei crimini del liberismo globalizzato, cioè la disumanizzazione del lavoro, l’alienazione, la brutalizzazione, i ritmi lavorativi infernali, il taglio dei costi di produzione, l’aumento delle ore lavorative, i tagli del personale.

Certo, il grande Marchionne ha risanato i conti della famiglia Agnelli, ma con costi umani terribili per gli operai. Questo clima di disumanizzazione viene taciuto da un certo giornalismo di regime, il potere finanziario dipinge una realtà diversa, in cui essere precario è bello, dove la flessibilità è il nuovo eden, e lo fa utilizzando giornalisti prezzolati e servi, d’altronde lavorano in tv e giornali i cui proprietari sono gli stessi che vessano gli operai.

Il controllo dei mass media permette agli epigoni degli Agnelli di “reprimere” il dissenso, scoraggiare i ribelli in nome dello spread,dei conti pubblici, del ”lo vuole l’Europa”.

Ecco perché mi è venuta voglia di ricordare Maria, per non dimenticare la disperazione di chi sta per perdere il posto di lavoro. La disperazione di chi è senza lavoro.Non dimenticare il pudore nascosto che impedisce a questi operai di dire ai figli che presto il loro futuro sarà segnato. Per ricordare i tanti padri di famiglia disperati, travolti, da una crisi economica che ha le sue radici nel sistema capitalistico. La finanziaria “ giallo-verde è coraggiosa perché non vuole  dimenticare chi è il carnefice e chi è la vittima.

Ciao Maria…io non dimentico.                   

Antonio Cacioppo

Né con gli uni, nè con gli altri. Per non essere complici.

in Adrano/Antonio Cacioppo/Blog/Politica di

di Antonio Cacioppo

Il diritto al voto è una delle conquiste più importanti della nostra storia, l’esercizio del voto è un dovere morale sancito dalla Costituzione. In una comunità come la nostra, lo spessore della democrazia si misura sul senso di appartenenza a delle idee e alla fiducia nei riguardi di alcune persone, il tutto poi dovrebbe tradursi in partecipazione, in voto.

Quindi il voto è un dovere morale, ma non è un dovere assoluto. Prendiamo come esempio il sistema elettorale per l’elezione del sindaco e poniamo il caso che al ballottaggio arrivino due candidati di cui non si condivide niente, come ci si dovrebbe comportare? Qualcuno potrebbe invitare a votare il “meno peggio“, ma lo abbiamo già fatto nel 2013 con risultati catastrofici, quindi la soluzione più coerente, a nostro avviso, è astenersi.

La “sacralità” del voto ha avuto un senso in una fase storica di riconquista della libertà, ma ora non andare a votare diventa un principio morale, quando l’offerta politica a disposizione non ti aggrada. Chi vuole testimoniare il primato della politica sugli interessi economici ha tutto il diritto di astenersi, anche per non essere complice.
Per noi, sottolineo per noi, andare a votare significherebbe ferire Adrano, significherebbe perdere la memoria di sé, diventare stranieri in patria, nemici di se stessi.

Qualcuno deve avere il compito di ridestare la memoria, di testimoniare il fatto che ci sono principi non negoziabili. Inoltre la partecipazione alla vita politica si può fare anche fuori dalle istituzioni. Quindi è giusto e sacrosanto astenersi quando pensi che niente e nessuno potrebbe rappresentarti perché lontani mille miglia dall’idea che noi abbiamo di Politica:

  • Per noi la politica è passione autentica e tensione etica, senso di giustizia;
  • Per noi la politica è la convinzione che le cose possono cambiare in meglio;
  • Per noi la politica è convincere all’azione;
  • Per noi la politica è la più alta tra le attività umane, intesa come servizio per la propria comunità;
  • Per noi la politica è rialzarsi dopo la sconfitta e non arrendersi mai alla disperazione;
  • Per noi la politica è la capacità di testimoniare valori e tramandarli ad un’altra generazione;
  • Per noi la politica è la consapevolezza e la volontà di far prevalere l’interesse generale agli appetiti personali, l’onestà alla disonestà, la competenza ai privilegi;

Conseguentemente sul piano strettamente etico questo ci obbliga a non poter votare:

  • per chi  ha fatto del trasformismo politico il suo stile di vita;
  • per chi vuol fare la vittima dopo aver vittimizzato gli altri;
  • per chi fa della intimidazione il proprio marchio di fabbrica;
  • per chi fa fare la gara ai suoi amici a chi è più servo;
  • per chi ha un posto di lavoro grazie alla politica;
  • per chi ha la fissa del P.R.G. e dei piani di lottizzazione;
  • per chi promette posti di lavoro o favori;
  • per chi ha aderito a tutti i partiti politici dopo averli disprezzati;
  • per chi fa politica perché affarista;
  • per chi poi ci costringerà ad esclamare: “Adrano ha la classe politica che si merita”;
  • per chi si circonda di adulatori;
  • per chi è forte con i deboli e codino con i potenti;
  • per chi ha fatto la sceneggiata facendo finta di litigare per poi ricongiungersi per aggrapparsi al potere;
  • Per chi “mai con Aldo”-“mai con Angelo”, per poi ringoiarsi tutto, come se la parola data non avesse alcun significato.

Qualcuno può negare che questo non sia lo specchio fedele di buona parte della politica adranita? Qualcuno può negare che in questa città esistano uomini che hanno fatto della politica mercimonio ed altri il loro mestiere?

Politici portatori di interessi personali che si ostinano a fare gli ecumenici, sempre a parole, pronti per gli altri, sempre a favore del territorio, ma in realtà, sono più semplicemente, ladri di democrazia, predoni degli ultimi, strumentalizzatori di chi ha bisogno.
Malgrado questo hanno la faccia tosta di riproporsi sempre, ab aeternum, in maniera compulsiva, alcuni anche a distanza di 30 anni.

Assoluto rispetto per chi andrà a votare, ma si chiede altrettanto rispetto per chi deciderà di non andare, specie quando questa decisione viene resa pubblica ed è espressione di chi ha fatto dell’impegno civico la propria bandiera.

Non è una resa, è una nuova battaglia

in Antonio Cacioppo/Bacheca/Blog/Politica di

di Antonio Cacioppo

Per mesi abbiamo lavorato alla realizzazione di un sogno: costruire un progetto per Adrano capace di riaccendere la speranza in tanti cittadini rassegnati, sfiduciati e umiliati dai giochi di potere della politica nostrana. Abbiamo pensato che il modo migliore, questa volta, fosse quello di dare vita ad una proposta amministrativa condivisa con quelle forze che, in vari modi, propugnavano un cambiamento. Ma giorno dopo giorno ci hanno logorato, siamo caduti nel tranello delle infinite discussioni, siamo stati spinti nel tritacarne dei tatticismi fine a se stessi, nelle mediazioni ipocrite, confrontandoci con candidature che ci piovevano addosso da tutte le parti.
Anche di fronte alla “mostruosa alleanza”, quando la gente si aspettava unità, compattezza, spirito di servizio, coraggio, la risposta della classe politica è stata totalmente inversa. Lo spettro di una imminente sconfitta ha seppellito ogni buono proposito e tutti sono corsi ai ripari sposando progetti che, fino a qualche giorno addietro, erano stati aspramente criticati. In fondo, prima di ogni cosa, bisognava preservarsi il posto in consiglio comunale e magari ottenere pure qualche assessorato.

Anche noi potevamo fare lo stesso, d’altronde le “offerte” sono state molteplici e pressanti, ed invece abbiamo preso la scelta più difficile, ma certamente la più coerente: rimanere fuori dalla competizione elettorale. Abbiamo deciso di non essere uguali, dimostrando che l’impegno politico non può avere come unico orizzonte quello di occupare a tutti i costi le poltrone. Questo ci destinerà all’irrilevanza? Non sappiamo. Ma questa potrebbe essere, a nostro avviso, l’unica possibilità per permetterci di fare una opposizione vera, rigorosa, intransigente.

Non è una resa, è una nuova battaglia.
Una battaglia per la tutela del nostro meraviglioso paesaggio e del nostro territorio che un’orda di Lanzichenecchi, prima separati e ora uniti, vorrebbero colonizzare in nome del dio denaro. Una battaglia fatta di valori e di principi, come la tutela dei deboli, del bene comune e della legalità, per difendere Adrano dall’immoralità dilagante, pervasiva.

Già, l’immoralità. Questo è il pericolo maggiore che sta uccidendo la nostra città. L’immoralità della mala politica, l’immoralità di chi fa finta di essere diverso ma è semplicemente peggio, l’immoralità di chi si erge a moralista per poi “accordarsi”, l’immoralità di chi “mai con lui”, l’immoralità violenta di chi deve vincere a tutti i costi, l’immoralità inquinante di chi persegue “altri” obiettivi. Per scongiurare questo noi abbiamo il dovere di ridestare negli adraniti un orgoglio ormai sopito, l’orgoglio di una appartenenza ad una storia bella e meravigliosa che non ha niente da spartire con gli immorali.

Per far questo non c’è bisogno di stare nelle istituzioni. Certo non sarà facile, molti sono ormai assopiti, cloroformizzati, impauriti. Lo smarrimento è evidente, la crisi etica terribile, ma è questo il momento delle scelte. Questo è il momento di spezzare le catene del conformismo immorale che imprigiona Adrano. Questo è il momento di ribellarsi affinché si possa elaborare una visione condivisa di buona politica.

Noi di Symmachia vogliamo farlo da subito, con il vostro aiuto, partendo dalle vie e dalle piazze, ripensando e rimodulando meccanismi di coinvolgimento delle parti sane della città. Perché credetemi: ci sono ancora uomini differenti, uomini che della loro alterità hanno fatto motivo di vita, uomini che sono oltre le vecchie logiche, non condizionabili, che pensano diversamente e altrimenti.
Uomini i quali sanno che “… tra il grigio delle pecore si celano i lupi: esseri che non hanno dimenticato cos’è la libertà.” (E. Junger)

Catania non vuole più promesse

in Attualità/Gisella Torrisi/Senza categoria di

di Gisella Torrisi

La Sicilia abbandonata al degrado viene mostrata raramente, non ci vuole un acuto osservatore per comprendere cosa succede per le sue strade. C’è chi la abita e non ne sa niente, c’è chi la abita e sa di che male sta morendo, c’è chi la abita come un figlio meschino e tira ancora latte al seno ormai stanco e privo di nutrimento. Questa è la mia amata terra, ricca di antichità oltre che bellezza tanto quanto dolore. Un enorme corpo di dolore si nutre di insofferenza, di vigliaccheria, di un progresso sterile dichiaratamente europeo.

Chi viaggia per visitarla nota una netta distinzione trai vari capoluoghi e a far davvero paura è quell’ombra di morte che si aggira sulla bellissima e regale Catania. Catania, una città che fa concorrenza a tante mete turistiche e lasciata senza aiuto, mentre vive la sua vecchiaia anticipata. Questo è lo sguardo che in una diretta Matrix lancia alla mia città.

Corso Sicilia (zona centralissima di Catania) è uno sfondo fatto di grandi palazzi di cemento e pietruzze grigie messe dal comune a coprirne le aiuole, dove per lo più sono ubicate le banche. E’ stato deciso così, era l’inizio del boom economico quando il quartiere San Berillo fu costretto con coercizione a fare posto al capitale. Erano gli anni ottanta quando si tagliò un nastro di inaugurazione per un futuro grigio, cementificato e privo di rispetto verso l’identità di una città storica. Ghettizzati, evitati, sfruttati, imbastarditi i suoi abitanti hanno fatto quello che in qualsiasi processo urbanizzativo di isolamento si può fare: essere una società dentro la società. Ma di quale società parliamo?

Non si sente più alcun senso di appartenenza, siamo soli e grigi come il Corso Sicilia e tutti a dire che non è vero. Mentre passi da lì e ti ritrovi di fronte alla realtà: uomini che vivono in strada e dal freddo si pisciano addosso e si ha persino paura di quei poveretti là fuori. Il problema sono loro, sono i trans, sono le prostitute nigeriane, sono i marocchini, sono quelli delle bancarelle della fiera, no? Il problema sono sempre le mosche che ci ronzano intorno e non lo schifo che portiamo dentro. Il problema sono sempre gli altri ed è questo che ci rende privi di appartenenza. Aspettiamo un padre che ci prenda per le spalle e ci butti finalmente in una qualsiasi vita.

Non abbiamo mai imparato a stare senza catene. Non abbiamo mai imparato a dare valore alle nostre scelte, perché “tanto non cambia nulla”.

Domani si voterà per l’Italia? Domani andremo a votare con il cuore illuso, disilluso, dolorante o già prenotato a qualche stupida promessa.

Catania non vuole più promesse, la Sicilia non se ne fa niente del futuro, l’Italia ha bisogno di un presente e non solo, ha bisogno di noi presenti e vigili.

Randagismo ad Adrano, un problema sottovalutato dall’amministrazione.

in Attualità/Blog/Calogero Rapisarda di

di Calogero Rapisarda


Ho avuto il dispiacere di leggere su 
TVA il racconto di un uomo che in zona San Filippo è riuscito ad evitare l’assalto da parte di un branco di cani randagi grazie ad un passaggio. In verità, nei giorni scorsi, anche a noi sono pervenute diverse segnalazioni, alcune provenienti da mamme terrorizzate, residenti in zona cappuccini, che ogni mattina sono costrette ad accompagnare i propri figli in auto per evitare eventuali attacchi da parte di un numeroso branco di cani (vedi foto). Altre segnalazioni ci sono giunte invece da parte di alcuni ragazzi che, in zona Corso Sicilia, durante le passeggiate con i loro cani sono spesso costretti alla fuga o a rifugiarsi nelle attività commerciali.

Purtroppo mi sembra che il problema sia stato ampiamente sottovalutato da questa amministrazione. E’ vero che le risorse economiche sono poche, ma cosa c’è di più importante della salute dei cittadini? I cani randagi, infatti, oltre a poter attaccare i passanti, possono essere la causa dell’aumento di incidenti stradali, della trasmissione di malattie verso la fauna locale ma anche verso l’uomo, come la rabbia o leishmaniosi. Tutto ciò costituisce un pericolo anche per i cani stessi che sono costretti a vivere in maniera pietosa, oltre ad essere spesse volte soggetti ad avvelenamenti da parte di gente che agisce facendosi guidare dalla rabbia che però, certamente, non giustifica tali vili gesti.
 
Considerato tutto questo e consci che le principali cause del randagismo sono due: abbandono di cucciolate indesiderate e riproduzione non controllata dei cani vaganti. Non sarebbe il caso di adottare misure più idonee per la risoluzione del problema?
 
Ecco un elenco di proposte utili alla causa:
 
  •  Campagna di iscrizione all’anagrafe canina e dotazione di microchip per i cani padronali;
  • Incentivare economicamente le sterilizzazioni per evitare cucciolate indesiderate;
  •  Sterilizzazione e iscrizione all’anagrafe di tutti i cani randagi;
  • Localizzare tra gli immobili o terreni di proprietà comunale luoghi adatti alla realizzazione di microcanili da poter dare in gestione a volontari animalisti;
  • Aumentare la collaborazione con le stesse associazioni di settore promuovendo corsi all’interno delle scuole (asili, elementari e superiori) sulla corretta gestione degli animali affettivi e promuovendo anche giornate di adozione di cani in piazza;
  • Incentivare l’adozione fornendo una basica assistenza veterinaria per il primo anno;
  • Istituire un servizio di recupero cani vaganti e soccorso cani feriti tempestivo;
  • Creazione di un area apposita sul website del Comune di Adrano con un photo book degli animali ritrovati, per permettere sia il riconoscimento da parte degli eventuali padroni e sia l’adozione da parte di chi ne sia interessato.
A questo punto chiediamo al Sindaco Ferrante e all’assessore al ramo Calambrogio, quante e quali di queste misure sono state finora adottate? Quali si ha intenzione di adottare in futuro?
Auspichiamo una loro risposta oltre che un intervento serio che possa mettere al riparo da qualsiasi conseguenza sia i cittadini che gli stessi animali.

Adrano nell’occhio del ciclone di Striscia la Notizia.

in Antonio Cacioppo/Attualità/Blog/Generale di

“Cominceremo a morire il giorno in cui resteremo silenziosi di fronte alle cose che contano.”
(Martin Luther King)

di Antonio Cacioppo

L’ipocrisia è la costante scritta nel dna della maggior parte dei politici di Adrano. Non si scoprono mai, giocano di rimessa, rispondono solo se chiamati in causa, prima guardano, poi fiutano l’aria e si comportano di conseguenza, si credono furbi… politici appunto.

Si acquattano per sfruttare a loro vantaggio ogni situazione, perché sono convinti che la gente non sia capace di capire le loro strategie, infatti per loro le persone non sono niente, sono poca cosa, ecco perché i politici ostentano prepotenza verso i cittadini, salvo poi trasformarsi in servi di fronte ai potenti.

Ma andiamo ai fatti.

Ad Adrano appaiono carte da morto per una persona che morta non è. Reazione? Nessuna. Silenzio per 24 ore, 48 ore, fino a quando non arriva in paese Striscia la Notizia.

Contemporaneamente i giovani di Adrano si mobilitano sui social in maniera spontanea, organizzano riunioni (dentro cui in maniera maldestra cercano di “imbucarsi” alcuni politici, senza riuscirci).

Il vuoto e il silenzio iniziale viene colmato paradossalmente da una trasmissione televisiva e, soprattutto dal moto sincero dei ragazzi adraniti che organizzano una manifestazione su cui molti avrebbero voluto mettere il cappello.

A quel punto ai politici sornioni, che comprendono di non avere più scampo, scatta in loro, inesorabile, il riflesso condizionato dell’ipocrisia trasbordante, e giù un’orgia di dichiarazioni, di comunicati stampa, interviste:

-hanno leso l’onorabilità  della città ;

-hanno fatto passare un messaggio sbagliato;

-fuoco e fiamme contro la Petyx;

Come se il problema non fossero i manifesti e il loro messaggio inquietante, ma Striscia la Notizia. La classica operazione ipocrita di chi vuol distogliere l’attenzione da un fatto gravissimo per addossare la colpa ad altri.

Quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito.”

Si badi bene tutta l’orgia della indignazione “pelosa” si è avuta soltanto e solo dopo che gli avvenimenti li hanno travolti, soltanto dopo che Striscia la Notizia è venuta ad Adrano e soltanto dopo che i social hanno prodotto una vera e propria rivolta morale. Solo a questo punto, come per magia, diventano tutti portatori di valori di legalità, si riempiono la bocca con dichiarazioni di antimafia.

Antimafia? Ma di quale antimafia stiamo parlando?

-Forse l’antimafia di coloro i quali non fanno politica ma vivono di politica?

-Forse l’antimafia di coloro i quali hanno avuto vantaggi personali, familiari, amicali, dalla politica?

-Forse l’antimafia di coloro i quali si riempiono la bocca di ETICITA’ e nel frattempo hanno fatto e fanno carriera professionale con la politica?

-Forse l’antimafia di coloro i quali praticano il clientelismo come un modo normale di comportamento politico?

-Forse l’antimafia di coloro i quali sono disposti a vendere i loro compagni di squadra e la loro dignità morale pur di arrivare alla poltrona?

Davanti a noi un quadro deprimente a causa di una progressiva discesa verso l’abisso della perdita dei valori, un quadro che ci può costringere ad assuefarci con apatica rassegnazione.

Poi all’improvviso arrivano scintille di speranza.
Dopo le false indignazioni, arrivano quelle vere. Dopo le false condanne, arrivano quelle vere.

Giovani, badate bene, quelli autentici, si rivoltano:

-Contro la rozzezza e la mancanza di cura, attenzione, sensibilità  verso gli altri;

-Contro l’inadeguatezza di chi governa non avendo come fine il bene comune;

-Contro la noia, la superficialità , l’incapacità  di ragionare e capire le cose;

-Contro il servilismo;

-Contro la criminalità e la paura che ne deriva;

– Contro l’indifferenza che porta ad un angosciante nichilismo che determina la perdita della generosità, della libertà, del rispetto per il prossimo.

Giovani che si esprimono con giudizi taglienti, con capacità  d’analisi, con trovate creative tipiche della loro età  e smascherano il gioco di certi politici, smontano il giocattolo della loro ipocrisia, reagiscono, discutono, agiscono.

Loro sì che sono i portatori della legalità, dei valori più autentici dell’antimafia.
Non ci resta che alzare la testa e scrutare l’orizzonte per seguire queste scie luminose che prima o poi riusciranno a farci lasciare alle spalle questo squallore.

A proposito del triangolo della morte. Ai miei paesi: Adrano, Biancavilla, Paternò.

in Adrano/Bacheca/Blog/Controcultura/Gisella Torrisi di

di Gisella Torrisi

Cosa posso fare? Me lo chiedo da sempre, me lo chiedo ogni giorno appena sveglia. Se prima la rabbia, l’indignazione e la speranza erano il solo motore di reazione contro questa nera realtà, ora mi rendo conto che era un modo di agire sbagliato in cui si lascia spazio a quel Giudice severo che umilia la Vittima impaurita; è tutto un processo narcisistico dove si vede la perfezione dei principi opprimere la mente che invece vorrebbe solo imparare. È questa l’educazione che ci hanno dato: punizione, repressione, catalogazione ma tutto ciò è vecchio, limitante, sofferente e assassino.

E’ giusto credere nella lealtà, nel progresso, nella legalità, nell’imprenditoria dei principi del “buon padre di famiglia”… non continuo, questa lista perbenista la conosciamo in tanti. Sono stanca di sentirmi dire: lottiamo contro, lottiamo per, lottiamo… quanta ipocrisia? Il Giudice interiore si diverte a seviziarci e allora? Sensi di colpa a sottrarci il sonno.

È giusto, invece, credere che sbagliare oggi è l’unico sintomo di autenticità. Torniamo liberi. Sbagliamo e rendiamocene conto, lottiamo contro i nostri schemi mentali; liberiamo queste povere membra piegate. Volete veramente sprecare questa vita e morire di paura? Morire con la paura di essere stuprata, morire con la paura di essere rapinato, morire con la paura di non trovare lavoro; magari non avverrà mai ma in tanto questi schemi mentali ci portano a fare scelte che allo Stato piacciono tanto. Perché poi scendiamo senza far rumore in compromessi che per la maggior parte di noi sono normalità. “Non andrò a lavorare in quel quartiere, troppi immigranti. (Mi stuprano, derubano e chissà cos’altro.)” “Sì, non pubblicherò questo articolo perché mi hanno già avvisato e se perdo questo lavoro non ne troverò di certo un altro migliore.” “Va bene, do l’esame all’università senza neanche esprimere il mio parere sennò non lo convalido con il voto che vorrebbero i miei.” “No, non mi avvicino al piccolo bambino rumeno che è caduto per strada, potrebbe essere una trappola.” “Sono contro il femminicidio. Oh mio dio guarda quella che sta con un uomo sposato! Per alcune servirebbe una buona scarica di botte.”

Quante volte abbiamo sentito queste frasi? Quante volte le abbiamo pronunciate? Quante volte ci siamo solo arrabbiati? Di paura soffriamo tutti. Lavoriamo per rendere la nostra vita sicura e facciamo sempre la scelta più sicura. Lavoriamo, paghiamo le tasse, mettiamo al mondo figli e gli passiamo la solita vecchia e fallace morale: sii prudente. No, figlio mio, sii folle. Senti, vivi, ascolta e non fermarti davanti le apparenze. Prendi la tua rabbia e trasformala in energia positiva, tu puoi essere quello che vuoi e quello che vuoi è dato da ciò che senti, da ciò che vorresti fare. Non urlare contro a chi ti dice che gli immigrati ci portano via il lavoro, non difendere le tue idee con la loro stessa arma. Sorridi, fai esempi, cerca il dialogo ma soprattutto scopri quale paura ci sia dietro chi ti parla con quel solito volto teso, severo.

Sbagliare significa esperire la realtà per crescere, chi non sbaglia non cresce. Oggi e colui che giudica e continua a subire il giudizio rimane in un vicolo cieco e non si accorge di stare solo fermo in una strada inerte e senza sbocco. Ci vogliono a destra, a sinistra, pro e contro, al sud e al nord, ci vogliono giusti e arrabbiati, ci vogliono contro gli immigranti, contro gli uomini per essere donne, suddivisori di violenze per catalogo. Oggi si parlerà di stupro o di rapina? Quale notizia serve passare? Ricordare che la Mafia si trova in piccoli paesi di provincia? Sì, parliamo di quei relitti di società che si trovano in quella brutta provincia Catanese

che versa lacrime e sogni, che vuole un po’ di pace, che cerca una nuova rinascita.

Ma non lo vedete che siamo tutti brutti, spaventati, cattivi come dei bambini lasciati a bocca aperta? Che litigano fra di loro e non contro chi li opprime? Che parliamo con occhi pieni di pianto e digrignamo un volto di un adulto mai svezzato? Ma non lo vedete che abbiamo costruito un sistema che non si riesce a fermare? Più stiamo dentro questo schema di paura e più lui prende le nostre energie e gira e ci rigira e non si ferma.

Scendiamo da questo treno, partiamo dall’accettarci, partiamo dall’ascolto. ASCOLTIAMOCI. Io non sono solo contro la Mafia, sono in primis contro lo Stato. Questo Stato vecchio pieno di una morale apparente e con un vuoto dentro a divorarne l’esistenza. Una realtà fatta di finti adulti che rimproverano con volti grigi.

Io sono per uno Stato nuovo, quello che forse ancora non riuscite a vedere ma che si sta schiudendo, uno Stato consapevole e che ha smesso di rimproverarsi e ha iniziato a sorridersi e dire: abbiamo provato così e non ci siamo riusciti, proviamo così e vediamo se questa è la nostra strada, sperimentiamo a favore di questa logicità d’azione, sperimentiamo a favore della libertà.

Io non mi schiero contro i miei paesi, io mi schiero contro quella parte di me egoista che si vuol sentire migliore, io mi schiero contro quella parte di me qualunquista che si siede a tavola e fa la sua morale, io mi schiero contro il vecchio modo di pensare. Io l’abbraccio e gli dico: basta stare dalla parte della ragione, è ora di stare dalla parte del Vero. Sapete benissimo cosa fa la democrazia informativa, lo sappiamo tutti: mette i poveri contro i poveri. Io non credo alla tv, l’ho spenta a quattordici anni e se oggi mi capita di vederla capisco che quello è spettacolo, è business e non solo: non è la mia realtà. Quella realtà che ha bisogno di persone competenti, positive, dinamiche e che non hanno paura.

Io rivoglio il mio potere personale e me lo riprendo giorno dopo giorno, guerra dopo guerra. E voi cosa aspettate? Spero che i miei fratelli là fuori, quelli “bravi” della parrocchia, quelli stanchi, quelli che “penso a me tanto non cambia niente”, quelli che “è colpa dei genitori”, quelli che “i giovani d’oggi”, quelli brutti della “vanedda”, quelli in carcere, quelli malati, quelli umiliati, quelli che “guarda quello”, quelli costretti lontani dalla sua terra, quelli “pentiti”, quelli che si pentiranno, quelli che sognano, quelli che ci credono… spero che tutti noi possiamo riavere questa grande capacità di scelta:

cantare fuori dal coro, tornare al Vero e comprendere il Falso.

Questo non è un triangolo di morte, questo è un triangolo di Rinascita se solo tu ci credi. Io e tanti altri ci crediamo, Symmachia ci crede.

Adrano e Biancavilla: una prospettiva comune

in Vincenzo Russo di

di Vincenzo Russo

E’ improbabile che il culto e la devozione per S. Placido e S. Nicolò Politi di biancavillesi e adraniti possano essere scalfiti da una possibile fusione dei due comuni. Le diverse identità –che pure esistono – e le specificità demografiche e territoriali, potranno essere preservate dai due distinti Municipi che continuerebbero ad esercitare le loro funzioni quasi come prima. E allora quale dovrebbe essere l’improvvida ragione di questo matrimonio, visto che non è di certo legata alla carente dimensione demografica? Beh, in effetti, la questione potrebbe essere ribaltata. Ovvero, perché due comuni contermini, che da un punto di vista urbanistico e territoriale sono quasi un unico blocco, devono essere completamente separati amministrativamente?

Perché fondersi in un unico Comune

Sia come sia, i potenziali vantaggi, noti in letteratura, sono di carattere economico e finanziario, oltre che politico amministrativo. Si tratta di maggiori economia di scala (minori costi nella gestione dei servizi), riduzione della spesa corrente e aumento di quella per investimenti (in tal senso depongono i pochi dati statistici a disposizione), della possibilità che si formino maggiori professionalità e livelli più alti di specializzazione dei dipendenti, e un maggiore peso politico complessivo nei rapporti con gli altri organi istituzionali. Si pensi alla pressione che una comunità di quasi 60 mila abitanti può esercitare, ad esempio, in merito alla tutela e al potenziamento della struttura  ospedaliera di Biancavilla, o alla possibilità di attivare forme alternative, magari esercitando le dovute pressione per la modifica dell’attuale, stringente, quadro normativo, di raccolta e gestione dei rifiuti urbani, con l’obiettivo della riduzione delle tariffe. Senza considerare l’unitarietà d’intenti nell’azione di programmazione urbanistica, delle attività produttive e nell’organizzazione delle infrastrutture, che renderà più spediti i processi decisionali e le attività realizzative. Un semplice esempio potrebbe riguardare la realizzazione di un’arteria di collegamento tra il viale dei Fiori e la S.S. 284, al fine di decongestionare dal traffico dei mezzi pesanti, e non solo, i due centri, favorendo nel contempo la logistica delle attività commerciali. Nella logica dell’armonizzazione e della condivisione dei servizi si potrebbe poi realizzare un’innovativa via di collegamento (anche sopraelevata) tra i due Municipi riservata a pedoni e ciclisti, quale grimaldello di una mobilità intelligente e alternativa. Molti studenti ne gioirebbero, e i facinorosi pedoni che pensano di uscire incolumi da via Casale dei Greci si sentiranno sollevati. Una linea di bus ecologici potrebbe garantire poi un collegamento continuo tra i vari punti nevralgici del nuovo ente.

A ciò si aggiunga che il decreto legge n. 95/2012 ha introdotto importanti incentivi finanziari, che si traducono in maggiori risorse a disposizione, per favorire il processo di riordino degli enti territoriali. Incentivi ulteriormente innalzati con la legge di bilancio 2017.  Con la legge di stabilità del 2016 (legge n. 208 del 2015)  sono state anche introdotte delle disposizioni di favore per quanto riguarda le risorse da destinare al personale. Il comma 229 (della citata legge), in deroga alla normativa generale, autorizza dal 2016 i comuni istituiti per effetto di fusioni, nonché le unioni di comuni, ad assumere personale a tempo indeterminato nel limite del cento per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell’anno precedente. In pratica, sarebbe possibile sostituire tutto il personale che andrà in pensione, senza le limitazioni attuali. Sono fatti salvi solo i vincoli generali sulla spesa del personale.

Cosa prevede la normativa

La disciplina delle fusioni è attualmente contenuta negli artt. 15 e 16 del TUEL. Le regioni, compatibilmente con il disposto degli artt. 117 e 133 della Costituzione, hanno la possibilità di modificare le circoscrizioni territoriali dei comuni sentite le popolazioni interessate e nelle forme previste dalle leggi regionali. Sono proprio queste ultime a disciplinare, quindi, sia il procedimento legislativo per l’istituzione di nuovi comuni, sia le modalità di esercizio del referendum consultivo per le popolazioni interessate. In Sicilia la materia è regolata dalla legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30, agli artt. 8 e 9. Il potere di iniziativa di tutto il procedimento può essere esercitato, alternativamente, dalla Giunta regionale, dai comuni interessati con deliberazioni consiliari adottate con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri in carica, o da un terzo degli elettori iscritti nelle sezioni di ciascuno dei comuni. L’Assessorato regionale degli enti locali, verificata la legittimità del progetto di fusione, autorizza la consultazione referendaria. Per quanto concerne il quorum di partecipazione il referendum è valido solo se i votanti rappresentano la maggioranza degli aventi diritto, e la proposta è approvata se ottiene la maggioranza dei voti validi. A seguito dell’esito favorevole alla proposta referendaria di fusione ha inizio il procedimento legislativo mediante la presentazione di una specifica proposta di legge al Consiglio regionale da parte del Presidente della Regione o della Giunta regionale. Determinante, a questo punto, è la volontà del Consiglio che deve approvare la proposta decretando, definitivamente, la fusione.

La necessità di una visione della città

Al di là degli aspetti sopramenzionati, il dato di maggior peso è legato alla possibilità che la fusione generi un esempio di virtù finanziaria e amministrativa con protagonista un nuovo grande Comune. E, ovviamente, di ciò non può esservi alcuna certezza ma solo un impegno fattivo. Le normali resistenze che tale ambizioso progetto di certo incontrerà, dovute a timori di cessione di potere, a spinte campaniliste, a diffidenze fondate sulla differente situazione finanziaria degli enti, a resistenze degli apparati burocratici, dovranno essere superate, oltre che con motivazioni di carattere tecnico ed economico, facendo leva sul suo significato ideale e politico. Il momento potrà costituire, infatti, l’occasione per rinsaldare, anzi, ricostruire i legami dell’obbligazione politica tra cittadini disillusi e assenti e amministrazioni soffocate da un asfissiante presente. Quella che bisognerà ricercare è l’adesione morale delle due comunità al progetto in modo da assicurare il consenso necessario alla sua realizzazione. Progetto che dovrà segnare lo spartiacque della rinascita economica del nostro magnifico territorio e dell’affrancamento culturale della sua popolazione. Se non scatta la molla ideale, il neofeudalesimo politico, da cui dipendiamo, con il solo scambio e le solite supercazzole televisive non arriverà mai da nessuna parte.

Troppo spesso si dimentica che l’obbligo primario di qualsiasi amministrazione è di offrire una propria visione della città e del suo futuro. Ci vuole un sogno da donare e carezzare. Essa non può perennemente farsi orientare dai signorotti del consenso spicciolo, o dalle società di mutuo soccorso degli “affari nostri”. Perché sono proprio questi che tendono a frapporsi alla realizzazione di idee di ampio respiro in grado di creare una forte identificazione diretta fra amministratori e amministrati. Una iattura che ne limiterebbe fatalmente il loro ruolo condizionante.

Per un nuovo corso …

Due elementi strategici potrebbero segnare la via: l’immediata qualificazione e implementazione di un’offerta turistica decente e l’impegno alla realizzazione di un polo universitario d’eccellenza, anche totalmente privato (un sistema efficiente di borse di studio garantirebbe pari possibilità ai meritevoli non abbienti), al riparo da pratiche baronali, clientele, e da ogni mefitica influenza politica. Una cattedrale indiscussa del merito e della produzione scientifica, nel cuore del mediterraneo, proprio alle pendici dell’Etna, che dovrà attrarre cervelli da tutto il mondo, e la cui presenza avrà un ricco effetto ricaduta tutt’intorno ad essa.

Si dovrà puntare all’attrazione turistica (con modelli già collaudati quali quelli dei piccoli distretti del Trentino), a calamitare le migliori risorse umane, e a trattenere in loco i giovani che non dovranno più essere costretti alla fuga. Quella della partenza dovrebbe essere una libera e legittima scelta e mai una costrizione che sa tanto di deportazione.

La pratica dell’accoglienza turistica, il pullulare di nuove genti e il fermento economico e culturale che ne scaturirà, produrranno comportamenti sociali emulativi verso l’alto e nuove possibilità per i soggetti svantaggiati. I nostri luoghi, e le relazioni che in essi si svilupperanno, potranno così permearsi di confronto, di fiducia, di cooperazione tra gli individui, e tra individui e istituzioni. In altri termini di senso civico e di appartenenza. Solo così, con l’importante contributo del sistema scolastico, si potrà pian piano sedimentare quello stock di capitale sociale, di cui siamo deficitari, che eviterà il progressivo, inesorabile, inaridimento e spopolamento del territorio. Tutto questo può sembrare troppo. Ma anche no. Proust ebbe a dire: “Il vero viaggio non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.

http://lavocedellidiota.wordpress.com

Quanto ci hanno impoverito gli anni spesi a studiare

in Blog di

di Antonio Guarrado*

Domandarsi se con la cultura non si mangia è ozioso, domandarsi in che modo la cultura impoverisca è più utile. Uno dei libri più interessanti del prossimo autunno sarà “Teoria della classe disagiata” di Raffaele Alberto Ventura (in uscita a settembre per minimum fax), che contiene fra l’altro un attacco formidabile alla cultura intesa come bene di lusso; in particolare alla cultura umanistica, in particolare alle lauree umanistiche, in particolare alla laurea in filosofia. Sin dal titolo Ventura si rifà al celebre “Teoria della classe agiata” di Thorstein Veblen, che teorizzava come il benessere portasse all’impoverimento: chi è abbastanza benestante è costretto a spese sempre maggiori per affermare il proprio status, così da finire per avere un tenore di vita peggiore di un povero senza ambizioni.

La classe agiata di Veblen era la borghesia americana di fine Ottocento. La classe disagiata di Ventura siamo noi trenta-quarantenni di inizio Duemila che abbiamo investito nell’accumulo di titoli di istruzione superflui e che ora, nella speranza che fruttino, siamo costretti a continui investimenti in un apparato che ci dimostri acculturati: libri, cinema, concerti, viaggi, slow food… La nostra cultura ci trasforma in parvenu che hanno investito tutti i propri averi nell’argenteria ma, onde fare bella figura, s’indebitano per assumere un maggiordomo che la lucidi. E se ripensando ai vostri studi vi pare di avere pagato relativamente poco, fra esenzioni fiscali e affitti stracciati per matricole, ricordate che la vostra laurea, magari umanistica, magari in filosofia, non vi è costata solo ciò che avete speso; vi è costata tutti i soldi che non vi ha fatto guadagnare.

IlFoglio

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