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Adrano assomiglia alla descrizione di Ficarra e Picone nel film l’Ora Legale?

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di Antonio Cacioppo

“L’ora legale”, di Ficarra e Picone, è un film dove la risata non è fine a se stessa, ma è lo strumento per una riflessione sulla nostra società e lo fa nel solco della tradizione della commedia all’italiana, dove il sorriso si stempera fino a diventare ghigno, riso amaro. Il film è straordinario poiché descrive una società dove si è smarrito il senso del pudore, dove si è arrivati addirittura al paradosso tale che se un politico non è stato rinviato a giudizio o condannato la società lo ritiene inadatto a governare.

Nella nostra realtà adranita, come nel film, si è strutturata una rete di interessi, di aspettative che, si badi bene, non appartengono soltanto al mondo dei politici, ma anche agli apparati tecnici e alle imprese. Ed è difficile opporsi a questo sistema, d’altronde coloro che “tengono famiglia” sono numerosi, tante “le bocche da sfamare” e quindi in parecchi votano questi politici nella speranza di riceverne qualcosa in cambio. Questa è la denuncia del film, la complicità di tutti verso il malaffare, la ricerca della raccomandazione, del favore.
Il finale del film è terribile, ti disarma e capovolge le regole della commedia che prevede finali felici. La scena finale è nitida, non si presta ad interpretazioni: l’unico cittadino ribelle al pensiero unico viene legato ad una sedia dall’inviato della politica romana con l’assistenza compiaciuta di un carabiniere e di un mafioso.

Ma nella realtà della nostra Adrano si va ben oltre la finzione cinematografica, basti guardare chi vuole o dice di volersi opporre al sistema e si scopre che essi si rivelano, molte volte, una cura peggiore della malattia, manifestano un’incapacità nel costruire un progetto unitario per superare differenze politiche e caratteriali, incapacità di pensare una proposta autenticamente alternativa che vada al di là dei buoni propositi. Essi sognano soltanto, illudendosi che l’avversario abbia un “incidente di percorso” provocato da alchimie consiliari. La somma di queste “incapacità” sfocia in una gara tra oppositori o presunti tali, fra chi è più bravo, più furbo, più preparato. Essi non riescono nemmeno ad avere un visione oggettiva della realtà, tendono a sopravvalutarsi e a sottovalutare gli interlocutori, col risultato di rinchiudersi in un “loro” mondo fatto di piccole consorterie, sognando improbabili rivincite con motivazioni risibili, come velleitarie rivolte generazionali o inseguendo soluzioni miracolose al grido semplicistico di andare oltre Mancuso e Ferrante.

Così si corre verso il nulla. Chi pensa che le prossime elezioni siano l’obiettivo primario, ha un orizzonte minuscolo. Bisogna invece guardare alle nuove generazioni, non fraintendete, non è un problema di età ma culturale. E c’è chi ha già intrapreso da anni questa politica per il futuro, sbagliata o giusta che sia, con chiarezza di intendi:
– costruire una nuova base culturale d’opposizione nei confronti di coloro che posseggono questa visione errata di potere e di consenso;
– organizzare eventi, laboratori di idee, convegni, attività, dibattiti;
– diffondere, attraverso i social e giornali, idee e posizioni alternative;
– promuovere battaglie per difendere un territorio che è patrimonio incommensurabile di identità e bellezza.

Tutto questo patrimonio di idee ed esperienza, compresi gli errori commessi, è stato proposto ad alcuni “oppositori”, ma la risposta è stata, nella migliore delle ipotesi il silenzio, nella peggiore il tatticismo o la “tragidiuzza politica”. La sensazione di scoramento ti spinge a concludere che tutto è inutile. Poi arrivano flebili segnali, pietre lanciate nel putrido stagno della politica nostrana. Il giornalista Nicola Savoca scrive un pezzo che già nel titolo è significativo, “Una squadra di fenomeni e lo scimpanzé col mitra”. Ma la domanda, la domanda vera da porsi è: esistono “fenomeni” in una città come Adrano? Non lo sappiamo, ma ci rendiamo conto che, almeno un’ipotesi bisogna pur farla, bisogna sforzarsi di crederci, ad una condizione però, che questi fenomeni, qualora fossero presenti, debbano avere certe caratteristiche:
– dovrebbero essere sognatori, ma di sogni realizzabili;
– dovrebbero avere una strategia con responsabilità chiare e scadenze precise;
– dovrebbero avere un obiettivo senza cambiare idea durante il percorso.

Per fare tutto questo bisogna scegliere il “sentiero” in cui incamminarsi affinché ci si arricchisca, affinché si possano scegliere bene i compagni di viaggio. Obiettivo, progettazione, cammino, dovrebbero far parte del patrimonio comune e condiviso dei “fenomeni”. Senza trascurare il fatto, però, che si dovrebbe avverare la grande “Trasformazione dei fenomeni” in gente comune, gente ordinaria, capace di fare cose straordinarie, capace di anteporre il senso civico e il bene comune agli interessi personali, gente che sia capace di ascoltare gli altri, gente che stia dalla parte degli ultimi, gente in grado di dar voce a chi non ne ha perché vive nella povertà e nell’ingiustizia, gente vogliosa di dare voce alle periferie di Adrano abbandonate nell’incuria, gente desiderosa di mettere al centro del proprio progetto politico la dignità della persona, gente competente per trasformare i progetti in azioni concrete.

Sarà realizzabile tutto ciò? Se proviamo a guardarci intorno abbiamo una certa difficoltà ad intravedere uno  scenario così delineato. Troppi politicanti senza arte ne parte, troppi servi sciocchi, troppi che inquinano la città di pattume ideologico, troppi zombie che resuscitano dai loro putridi sepolcri dopo aver devastato la nostra città, troppi fannulloni del web che gracchiano e pontificano su tutti e tutto. Questi sembrano essere i segni del declino, ormai i minus habens imperversano, comandano, ti zittiscono. E in questa desolazione avanza una insostenibile voglia di lasciar perdere.
O no?

Dal Jobs Act ai Referendum della Cgil: come cambia il mondo del lavoro

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di Gaetano Sant’Elena*

L’impatto della riforma sul mondo del lavoro non può certo essere valutato in tempi così rapidi (i primi decreti sono entrati in vigore a marzo, gli ultimi a fine settembre dello scorso anno), né va confuso con gli effetti – positivi, dicono i dati – dell’esonero per tre anni dei contributi INPS per le assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2015, stabilito con la Legge di Stabilità approvata a fine 2014, per coincidenza negli stessi giorni del Jobs Act, né tantomeno gli effetti meno agevolativi delle successive leggi di stabilità 2015 e 2016 che li hanno notevolmente ridotti.

La portata della riforma deve essere letta nei termini della semplificazione della materia lavoristica, in quanto essa è di facile lettura e cerca di uniformare le decisioni dei Tribunali, da un lato e dall’altro cerca sempre un accordo, anche se in sede protetta (soprattutto sindacale) delle vertenze fra datore di lavoro e lavoratore e non tanto sui numeri assoluti “di nuove assunzioni” che riguardano ampiamente la natura dell’economia italiana e più in generale mondiale. Tutti ormai comprendiamo che il vero problema dell’occupazione (in regola) è la non sostenibilità da parte delle aziende del costo del lavoro, sia in tema di retribuzioni che in tema di contribuzione. In momenti di crisi, forse le parti sociali avrebbero dovuto avere come obiettivo primario la crescita del sistema Paese ed in particolare delle aree più depresse della Nazione. Un esempio per tutti: con limiti aziendali sarebbe stata opportuna una deregulation della contrattazione collettiva nazionale e l’adozione di salari minimi garantiti di settore o contratti d’area accompagnati da una riduzione sensibile del costo della contribuzione. Ma su questi temi potremmo scrivere fiumi di parole e trattati, ma non è opportuno togliere spazio a quello che è la riforma del 2015.

I punti salienti della riforma, riguardano i temi dei licenziamenti, degli ammortizzatori sociali, i congedi per i genitori lavoratori, il nuovo codice dei contratti di lavoro, le politiche attive del lavoro e la riforma dei controlli.

Come cambiano i licenziamenti

Non cambia niente per chi è stato assunto prima del 7 marzo 2015. Per chi è stato assunto dopo il decreto esclude, per i licenziamenti economici, la possibilità della reintegrazione nel posto di lavoro e prevede un indennizzo economico crescente con l’anzianità di servizio. Il diritto alla reintegrazione è limitato ai licenziamenti nulli e discriminatori, e a particolari casi di licenziamento disciplinare ingiustificato. Il decreto prevede inoltre termini certi per l’impugnazione del licenziamento.

Come cambiano gli ammortizzatori sociali

Trattando di misure che hanno l’obiettivo di offrire sostegno economico alle persone che hanno perso il posto di lavoro, il decreto riscrive la normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, introducendo nuovi strumenti e nuove sigle: ASPI, NASPI, ASDI e DIS-COLL, quelle che un tempo chiamavamo “assegni per la disoccupazione”.

Cosa cambia per i genitori che lavorano

Il decreto interviene principalmente sulle norme che regolano il congedo di paternità e maternità – cioè l’astensione obbligatoria dal lavoro al momento della nascita del figlio o dell’arrivo di un bambino in affidamento o in adozione – e poi il congedo parentale (facoltativo) e i diritti dei genitori che sono lavoratori autonomi o iscritti alla Gestione Separata INPS, introducendo anche alcune novità sul congedo per le donne vittime di violenza di genere e sul telelavoro.

Come cambiano i contratti di lavoro

È sicuramente la più corposa tra le norme approvate: modifica sia il codice civile che diverse leggi sul lavoro, abrogando due interi decreti e numerosi altri articoli. Il Jobs Act infatti riscrive la disciplina di molti contratti di lavoro – per esempio la collaborazione a progetto, la somministrazione, il lavoro a chiamata, il lavoro accessorio, l’apprendistato, il part-time – dando alcune indicazioni precise ma contemporaneamente lasciando aperte molte possibilità di deroga ai contratti collettivi nazionali. Tutto a partire dal fatto che “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune del rapporto di lavoro”: un’indicazione semplice ma importante, che definisce a quale tipo di lavoro vadano ricondotti i contratti più “leggeri” che non rispettano i limiti che la norma impone.

Come cambia la cassa integrazione

Il decreto riordina la normativa in materia di ammortizzatori sociali “in costanza di rapporto di lavoro”, abrogando oltre 15 leggi stratificatesi negli ultimi 70 anni, dal 1945 a oggi, con una sola norma che racchiude – quasi – tutto il settore. Le forme di cassa integrazione diventano due – ordinaria e straordinaria, sparisce la cassa integrazione in deroga – e possono essere utilizzate dalle imprese per eventi transitori che richiedono meno ore di lavoro, crisi aziendali e riorganizzazioni: dai dati del governo, complessivamente le misure coinvolgeranno circa 1.400.000 lavoratori e 150.000 imprese che prima ne erano escluse.

Come cambiano le politiche attive

Il nuovo decreto riordina la normativa in materia di servizi per il lavoro e di “politiche attive”, cioè le iniziative volte a promuovere l’occupazione: rinforza e riorganizza la rete degli enti coinvolti nel settore, vincola l’erogazione dei “contributi di sostegno al reddito” alla partecipazione attiva di chi dovrà percepirli, coinvolge stabilmente i soggetti privati che possono fare da intermediari, semplifica la possibilità di impiego dei lavoratori in cassa integrazione in lavori per la collettività e allarga la portata del cosiddetto “fascicolo elettronico” del lavoratore.

Come cambiano gli organi di controllo

Il DLgs 149/2015 istituisce un’agenzia unica per le ispezioni del lavoro, denominata Ispettorato del Lavoro, che svolge le attività ispettive finora compiute dalle Direzioni Territoriali del Lavoro, da INPS e INAIL. Tutto il personale ispettivo delle DTL confluisce nella nuova agenzia; il personale ispettivo di INPS e INAIL resta invece nei rispettivi enti “ad esaurimento”, ma segue le direttive e la programmazione dell’Ispettorato. Per una maggiore efficacia ispettiva, INPS, INAIL e Agenzia delle entrate sono tenuti a condividere con l’Ispettorato le proprie banche dati.

Sulla carta non è un cambiamento troppo significativo: qualcosa di più incisivo nel settore ispettivo sarebbe dovuta avvenire se si sarebbe portata a termine la riforma del Titolo V della Costituzione, con il ritorno allo Stato delle competenze in materia di sicurezza sul lavoro attualmente in gran parte di competenza regionale. Ma non è andata così. Per dovere di cronaca ad oggi la riforma in Sicilia non è applicata in quanto manca il decreto assessoriale.

Il DLgs 151/2015, l’ultimo dei decreti approvati, tratta invece aspetti puntuali di materie molto differenti: cambia perlopiù parti di singoli articoli, con modifiche volte alla “razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità”.

Le disposizioni contenute nel decreto possono essere suddivise in tre gruppi fondamentali:

– Semplificazioni di procedure e adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità, costituzione e gestione del rapporto di lavoro, salute e sicurezza sul lavoro e assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, revisione delle sanzioni in materia di lavoro e legislazione sociale.

– Disposizioni in materia di rapporto di lavoro, con una piccola revisione della disciplina dei controlli a distanza del lavoratore; la possibilità per i lavoratori di cedere, a titolo gratuito, ai colleghi, i riposi e le ferie maturati, al fine di assistere i figli minori; l’introduzione per i lavoratori del settore privato di ipotesi di esenzione dal rispetto delle fasce di reperibilità in caso di malattia; l’introduzione di modalità semplificate per effettuare le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, esclusivamente con modalità telematiche.

– Disposizioni in materia di pari opportunità, rivedendo ampiamente la normativa sulle consigliere di parità.

I quesiti referendari della Cgil: firmano 3 milioni di italiani

La CGIL si è opposta alla riforma del mercato del lavoro. Più una presa di posizione per quanto riguarda le modifiche all’art. 18 della 300/1970 in tema di licenziamenti e difesa del “lavoratore”, che sulla portata della riforma in tema di occupazione e difesa del “diritto al lavoro”.

In quest’ambito avviene la raccolta delle firme per avviare l’iter abrogativo della neonata riforma concentrandosi fondamentalmente sul “contratto di lavoro a tutele crescenti” oltre che all’abolizione del “lavoro accessorio” (voucher lavoro) e sulla responsabilità del committente negli appalti (pubblici e privati) per il trattamento economico dei dipendenti.

Come ormai tutti sappiamo la Consulta non ha ritenuto approvare il quesito sui licenziamenti ammettendo in via residuale gli altri due.

A mio avviso non cambierà nulla sia se l’attuale Governo apporterà quel minimo di modiche che impediranno il referendum, sia se il Capo dello Stato decidesse di indire la consultazione. In quest’ultimo caso sarà difficile il superamento del quorum (come ormai avviene di regola) e quindi la riforma non subirà alcun cambiamento.

Cambierà invece, in termini negativi, la politica ed i rapporti sindacali: un sindacato più debole chiuso a riccio su principi ormai anacronistici e distante dei veri bisogni dei lavoratori che sono quelli della certezza del lavoro (anche se precario e flessibile) ma costante nel tempo.

 

consulente del lavoro | Studio Sant’Elena

I coglioni di Destra

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Tempo fa, mi era impossibile pensare che a destra ci fossero persone scadenti. La colpa di questa distorsione della realtà era dovuta prima di tutto alla psicologia dell’escluso, di cui eravamo affetti tutti noi di destra.

In cosa consiste questa psicologia? L’escluso per compensare questo stato di disagio elabora questa sua marginalità: nel caso nostro quella politica, con un atteggiamento di superiorità che è alimentato dalla frequentazione del gruppo degli esclusi – politici appunto – e per quanto ci riguarda da letture e discussioni che esaltavano temi come la bellezza della sconfitta, i concetti romantici di titanismo e di morte per l’ideale, il senso aristocratico della formazione individuale. Io, è chiaro, non rinnego la mia formazione né le letture che ho fatto però per tanto tempo: diciamo sino a quando la destra ha assunto responsabilità di governo nazionale nel 1994 e quindi regionale, dove c’è stata, sino a giungere a quella nelle realtà locali, ho pensato al mio “mondo” come quello migliore, più puro, più competente. L’epilogo di quelle esperienze di governo e di quelle attuali, pur nelle eccezioni, ha dimostrato invece che gli uomini di destra sono nella maggioranza come tutti gli altri.

 

Ho cercato di capire il perché, partendo proprio da quella distorsione della realtà, dovuta alla psicologia dell’escluso, ed alla creazione di “miti” politici ed esistenziali, per giungere alla considerazione che il tempo svilisce tutto. Mi spiego meglio. Dopo la sconfitta militare e politica del fascismo, i reduci avevano ancora, vista la vicinanza con quegli eventi, quella tensione ideale e la voglia di battersi per realizzare l’idea che li aveva precedentemente animati. Tale tensione è stata forte, con alcune differenze politiche ed ideologiche, per tutti gli anni del dopoguerra sino agli anni ’80. Poi, il tempo ed i cambiamenti epocali l’hanno fatta scemare sino a diventare un semplice “pacchetto d’offerta politica”, mentre i “miti” – quando non erano mera coreografia – del saluto romano, del Presente! per onorare i nostri morti, dei ritiri comunitari servivano, quale forza animante e aggregante, a rafforzare lo spirito di gruppo.

La realtà, invece, palesò dilettantismo, velleitarismo ed una serie di brutte figure, dato che la destra non era usa di governo.

Queste prime delusioni indussero erroneamente la destra a fare politica “come gli altri” e così, anche per una legittima ricompensa degli anni patiti, molti nostri governi scopiazzarono il mal costume dei partiti dell’arco costituzionale. Ma ciò che costoro avevano dimenticato è il fondamento che ci faceva sostanzialmente “diversi”.

Tale fondamento non era rappresentato dai contenuti ovvero dai riferimenti storici e politici, dalla percezione agiografica e di “fascismo eterno” che lungamente ci aveva pervaso ma al sostrato intimo che sostanziò quelle scelte politiche e di vita come il concetto nicciano di uomini come costruttori di senso e di storia e l’anticonformismo comportamentale ed ideativo, residuo forse romantico ma pratica ed importante risorsa per qualsiasi comunità. Specie se in fase di stallo.

Chi, a destra, non ha più questo è come gli altri o addirittura un coglione.

 

I coglioni di destra si riconoscono facilmente anche perché sono notevolmente aumentati, specie se da “ecumenici” e “flessibili” come sono diventati hanno iniziato a frequentare altre parrocchie politiche, impensabili un tempo. Eppure riesco, nella mia munifica comprensione, a pensare che qualcuno di loro l’abbia fatto per poter incidere nella realtà politica e per non lasciare vuoti politici che altri in maniera malsana potevano occupare. Ma molti di loro non si distinguono per lo stile, per il senso profondo della “scommessa esistenziale”, dell’anticonformismo, della volontà grazie ai quali le cose si possono cambiare se si lotta anche se si perde, e mostrano invece un fare bulimico da Prima Repubblica.

 

Ho per molto tempo, come dicevo, evitato a me stesso di consumare una freudiana morte del padre: lo faccio ufficialmente ora e mi sento più onesto e più libero.

Certo, ciò non significa avere pentimenti e dimenticare il passato. Non posso, non voglio e non devo dimenticare i ragazzi che sono morti per difendere una bandiera che nessuno voleva, i sacrifici di una comunità che voleva battersi, esprimersi e che sottraeva risorse al borsellino domestico – di nascosto e senza pentimento –, le scarpe consumate e le notti in treno del giovane Almirante, i pasciuti democristiani, socialisti etc. che potevano dare ai loro iscritti e ai loro amici un lavoro, occasioni di vita, una vetrina sociale.

No, non mi pento per la mia scelta. Anzi, questa marginalità mi – ci – ha spinto a lottare e a non piegarmi – ci – dinanzi al potente politico di turno, a leggere libri di altra provenienza politica ed ideologica, a confrontarsi con filosofie e persone di orientamento politico diverso, ad indirizzarmi a vedere sotto una luce nuova argomenti per noi tabù come Marx, Freud o la Scuola di Francoforte, per esempio. Ciò ha reso tutti noi, abitati ancora da quel fondamento di cui parlavo, più forti, più determinati, più reattivi e paradossalmente più ironici e tolleranti.

Ringrazio i miei 11 anni, età in cui quasi istintivamente scelsi. Non rimpiango niente.

Non avrei voluto vedere, però, certe scene di rozzezza, di arrivismo e di pochezza caratteriale che sono circolati  e circolano anche a destra.

Non sempre noi siamo ciò che siamo stati.

Una squadra di fenomeni e lo scimpanzè con il mitra

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Una squadra di fenomeni, ci vorrebbe una squadra di fenomeni per fare uscire Adrano dal pantano in cui è sprofondata. Non penso, però, a un catalogo Marvel di supereroi impegnati a cancellare l’immagine irrimediabilmente insudiciata di una città che era il fiore all’occhiello – assieme ad Acireale e Caltagirone – di tutta la provincia di Catania. No, penso ad un manipolo di adraniti di buona volontà che tolga allo scimpanzé la mitragliatrice che ha in mano.

Ora che tutti i nodi sono venuti al pettine, tanto vale fare uno sforzo di umiltà e disegnare uno scenario possibile per il futuro prossimo venturo.

A chi, ogni due per tre, invoca le dimissioni dei responsabili della cosa pubblica, va subito detto che in politica non è stato adottato come strumento di legge l’applausometro con il quale misurare il livello di gradimento e popolarità degli amministratori di una comunità. L’unico rimedio, legalmente riconosciuto, è l’istituto della sfiducia. Solo che ad utilizzarlo non sono, ahimè, cittadini disinteressati ma consiglieri comunali timorosi di abbandonare se stessi al proprio destino, una volta sancita la fermata al capolinea. Ecco perché, tutte le volte che ad Adrano è stato tentato un percorso del genere, esso si è sempre rivelato un fallimento. Ripetere l’esperimento mi pare cosa inutile, scatterebbe anche stavolta la chiamata alle armi di fronte alla quale chi detiene le leve del comando sa come destreggiarsi: rancio raddoppiato per i famelici più perplessi e poltrone tirate a nuovo per gli ingordi. Ci sarebbe, a dire il vero, l’opzione del “passo indietro”: il lancio della spugna per l’evidente difficoltà ad uscire dalle sabbie mobili nelle quali è scivolata una città intera. Chi è stato eletto democraticamente dal popolo, però, ha tutte le ragioni (oppure trova tutte le scuse, fate voi) per andare avanti. Basta tramutare la realtà in impostura e sostenere che tutto va per il verso giusto.

Quando la mala gestio intasa le fogne della pubblica amministrazione, il rimedio ultimo è quello di addossare la colpa agli altri.

Tutta colpa dell’uomo solo al comando che, una volta eletto, dimentica di essere stato scelto come “guardiano del faro” di una comunità e dà fuori di matto atteggiandosi, invece, a “faro” di tutta la città.

Perché il delirio di onnipotenza non sia la cifra dei prossimi chiamati a governare penso a una squadra di fenomeni che sappia dividere al proprio interno compiti e responsabilità e affronti il disperato tentativo di rimettere in piedi questo periclitante condominio chiamato Adrano. Lo so, è una missione difficile se non impossibile. Ma è l’ultima chance offerta a noi adraniti che abbiamo a cuore le sorti di questa città, se non vogliamo che un nuovo scimpanzé imbracci di nuovo il mitra e faccia strage del nostro futuro.

La peggiocrazia adranita

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Diciamocelo pure chiaramente. Politici e amministratori locali sono lo specchio fedele della società che rappresentano. Uno straordinario esempio di corrispondenza tra rappresentati e rappresentanti. Ovviamente, esistono delle aree di non sovrapposizione che, però, non riescono a fare breccia in questo coerente schema. La nostra democrazia comunale, seppur con l’importante modifica dell’elezione diretta del sindaco (introdotta nel ’93), non ha certamente partorito esempi virtuosi. Se ciò non è avvenuto, la principale causa è da imputare all’incapacità dell’elettorato di scegliere per il meglio, pur nell’ambito della limitata offerta. D’altronde: “Si vuole sempre il proprio bene, ma non sempre lo si vede …” (J. J. Rousseau). La conquista del potere di scegliere direttamente la persona cui affidare le sorti della propria città, non ha prodotto gli effetti sperati, perché è mancata la capacità di valutare le reali qualità, l’affidabilità personale e il programma del candidato sindaco. Anzi, tali “carenze percettive”, unite alle condizioni di bisogno di tanti elettori, hanno favorito la personalizzazione della politica attorno al potere di soggetti dediti, talvolta in modo spregiudicato, alla creazione di strutture di consenso personale, con la promessa – peraltro raramente mantenuta – di alimentare gli appetiti di ogni possibile clientela. E, purtroppo, di fronte ad un corpo sociale e politico “acerbo”, chiuso a riccio sugli egoismi di ognuno, privo ancora del minimo sindacale di senso civico, non c’è legge, elettorale o non, che possa fare miracoli. In tal modo, non siamo riusciti ad avere un primo cittadino che abbia mai realmente assunto il ruolo di guida di un processo complesso di riconsiderazione della nostra identità e delle prospettive di sviluppo del nostro territorio.

I nostri amministratori non si sono mai posti, né avrebbero potuto, il dilemma della scelta: limitarsi a lasciar andare la barca, rispondendo alle emergenze, minimizzare i danni, e assicurarsi la piccola quota di autonomia decisionale e di risorse finanziarie necessarie per la propria sopravvivenza; oppure rinunciare a ciò e mettere le mani nella macchina amministrativa per migliorare l’efficienza degli apparati, vista la necessità del recupero di quote crescenti di risorse finanziarie direttamente da parte del Comune. E’ chiaro che, in quest’ultima ipotesi, sarebbero state necessarie delle capacità realizzative non indifferenti ed una forte volontà politica, visto lo scontro che si sarebbe generato con i burocrati e i mal di pancia di molti cittadini che non avrebbero capito, almeno nell’immediato, il perché di tale sommovimento. Non ci sono, infatti, abituati. Allora meglio darsi la mano e assecondare i propri istinti conservatori. Ognuno al posto suo. Al diavolo l’efficienza, i servizi e il risanamento finanziario. L’importante è prendersi cura delle proprie masserizie. Politici e burocrati uniti da un tacito patto di non belligeranza, contro ogni prospettiva futura.

La semplice presa d’atto del consiglio comunale, peraltro infarcita d’una retorica abominevole, della necessità di un piano di riequilibrio finanziario “suggerito” dalla Corte dei conti, che, di fatto, sancisce la nostra bancarotta, s’inserisce appieno nello scenario di perenne presentificazione in cui si muovono gli amministratori (il dissesto finanziario è sempre meglio farlo dichiarare da chi verrà). L’assenza di un progetto politico e l’ossessione per il loro immediato futuro, li pone, infatti, in una condizione di sudditanza rispetto ai vertici o ai semplici addetti delle strutture tecniche interne. E’ necessario l’appoggio dei tecnici per il proprio, personalissimo, futuro. E’ così che il non governo della cosa pubblica carica la collettività di ingenti costi finanziari e sociali riducendo, quasi azzerandoli, i margini di ogni azione amministrativa prossima.

In quest’abisso, però, la peggiocrazia potrebbe trovare degli ostacoli alla sua perpetuazione. La crisi finanziaria del Comune metterà, infatti, a rischio il finanziamento di molti piccoli privilegi che hanno alimentato il consenso sino a oggi. Se non ci sono incarichi da distribuire, se non è possibile favorire gli amici negli acquisti, nei piccoli lavori e nell’affidamento di servizi, a causa della necessità del contenimento della spesa, è probabile che il sostegno alla peggiocrazia venga meno. I due gruppi sociali che potrebbero essere, al tempo stesso, gli artefici e i primi beneficiari del cambiamento sono i giovani e le donne. I primi potrebbero essere motivati dal fatto di trovarsi a pagare il conto di un banchetto a cui non hanno partecipato. D’altronde, sanno di non poter più godere dei privilegi dei loro padri (a parte qualche giovane dalle tradizioni irriducibili). Lo stesso vale per le donne. La loro presenza non può più essere accettata come elemento decorativo. Grazie alle “quote rosa” potranno rivendicare con forza i loro diritti, ed entrare nel merito dei problemi. Le donne mostrano spesso più coraggio e capacità realizzative degli uomini. Entrambi, i giovani e le donne, hanno ben poco da perdere e tanto da guadagnare da un cambiamento di rotta. Proprio loro potrebbero spezzare il circolo vizioso del clientelismo che genera impoverimento e barbarie civile.

Gli insulti degli amici di Ferrante: so’ ragazzi!

in Bacheca/Politica di

Guardate che toni concilianti utilizza il Consigliere nei nostri confronti sulla nostra pagina, solo perchè abbiamo osato dire la verità e cioè che la Maggioranza sulla Sangiorgio-Gualtieri si è astenuta e si è frantumata e che il Sindaco, in Consiglio, ha politicamente insultato Angela Anzalone (che non fa parte del Consiglio e, ovviamente non ha i mezzi adeguati per replicare).
Anche le riprese televisive possono confermare. Ma non facciamoci caso: so’ ragazzi. Consigliamo un pò di Maalox.

maccarrone insulta symmachia

Maggioranza in frantumi si astiene, l’Opposizione invia le carte all’Anticorruzione e all’Antimafia.
Ferrante insulta Angela Anzalone.
Ecco il documento votato

in News/Politica di

Un lungo ed estenuante Consiglio comunale in cui, tra pietismi vari e falsi buonismi, incoerenze 2.0 tra ciò che si scrive nei comunicati stampa e ciò che si vota, è stata sancita la posizione della (ex?) maggioranza del sindaco Pippo Ferrante sulla “Sangiorgio Gualtieri”: l’astensione. I 12 consiglieri comunali: Maccarrone, Santangelo, Mannino, Pulvirenti, Del Campo, Di Primo, Brachina, Politi, Coco, Alberio, Cancelliere, Trovato e Mavica hanno preferito astenersi sul documento presentato dall’Opposizione per fare chiarezza sul futuro della Casa dei dei bambini e sull’affidamento della struttura, fiore all’occhiello della città, ad un privato per 15 anni. Ma il Consiglio comunale di ieri, richiesto sempre dall’Opposizione, ha visto lo spappolamento della maggioranza di Ferrante che è andata in frantumi proprio sulla votazione dell’atto. Quattro le defezioni significative: Nicola Caltabiano che è uscito dall’Aula, Carmelo Monteleone, Valeria Scafidi e il presidente del Consiglio Alessandro Zignale che, invece, hanno votato a favore del documento-esposto che, adesso, verrà trasmesso, oltre all’Assessorato regionale alla Famiglia, all’ANAC, l’Agenzia Nazionale Anticorruzione presieduta dal dottor Raffaele Cantone, e alla Commissione regionale Antimafia, presieduta dall’on. Nello Musumeci che – per la cronaca – domenica, 8 maggio, alle ore 18 sarà ad Adrano per inaugurare la sede dell’Associazione Culturale Symmachia di piazza Umberto.  

GLI INSULTI DI FERRANTE ALLA PROF.ssa ANZALONE

Bisogna attendere quasi la fine della “calda” seduta del Consiglio comunale per sentire il sindaco Pippo Ferrante, dal suo scranno d’Aula, rivolgersi con un certo rancore politico alla presidente dell’Associazione Culturale Symmachia rivolgendosi con apprezzamenti politici inadeguati al ruolo di Sindaco che ha vinto le elezioni proprio grazie anche al supporto determinante della prof.ssa Anzalone e della sua squadra. Un Sindaco non può rivolgersi in questo modo senza neppure l’opportunità di un contraddittorio: la Anzalone sedeva tra i banchi del pubblico da dove ha seguito l’intera seduta di Consiglio. E’ da lì che la prof.ssa Anzalone ha rivolto soltanto una battuta al Sindaco.

ECCO IL DOCUMENTO VOTATO DALL’OPPOSIZIONE

Sangiorgio Gaultieri, il video-intervento di Angela Anzalone: “Sindaco impugni l’atto”
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in Adrano/Battaglie/Iniziative/News/Politica/symmachia/Video di

“E’ in atto un tentativo di mercificazione della Casa dei bambini “Sangiorgio Gualtieri” di Adrano. Non si può rimanere indifferenti e chi amministra la città ha il dovere morale di sapere cosa accade nella città, piuttosto che fare finta di nulla. E’ una scena che abbiamo visto già nel 2011, quando nell’indifferenza delle Istituzioni e dei partiti politici, Symmachia denunciava il declino di una struttura che ha accolto migliaia di bambini e di ragazzi di Adrano, grazie all’impegno profuso in 50 anni dalle Suore”.

E’ l’intervento di Angela Anzalone, presidente dell’Associazione Culturale Symmachia che chiede un intervento immediato del sindaco Pippo Ferrante per scongiurare la violazione dei fini testamenti dei fondatori Sangiorgio Gualtieri e la gestione privata e imprenditoriale della struttura.

“Noi volevamo realizzare una “Casa Famiglia” – dice Angela Anzalone che ricorda la sua breve esperienza in Amministrazione comunale – ciò avrebbe consentito un utilizzo pubblico della struttura e avremmo abbattuto i costi che tutt’ora il Comune sostiene per pagare le rette dei minori presso altri Enti, fuori Adrano”.

Ma la prof.ssa Anzalone ricorda anche alcuni aneddoti.

“Noi con i giovani animatori della Sangiorgio Gualtieri abbiamo raccolto migliaia di firme, abbiamo incontrato anche l’arcivescovo Gristina e si era individuato un ordine religioso per poter far tornare le suore. Da vicesindaco – sottolinea la prof.ssa Anzalone – mentre mi recavo a Palermo, all’Assessorato regionale per la Famiglia, per costituire la “Casa Famiglia”, mi veniva detto che il Sindaco pensava a trasferire il Commissariato di Polizia proprio alla Sangiorgio Gualtieri. Per non parlare di quando si è diffusa la notizia, mai smentita, della realizzazione di una beauty farm con piscina. Nell’indifferenza di tutti, compresi coloro che, soltanto oggi, si riempiono la bocca di “Sangiorgio Gualtieri”, si è consumato il declino di un grande presidio formativo e di educazione cattolica”.

Da qui l’appello della presidente Anzalone.

“Vogliamo che il Sindaco batta un colpo e si preoccupi della comunità. Chiediamo che possa impugnare l’atto e restituire una struttura che appartiene agli adraniti, scongiurando che si possa risparmiare una indecente e nauseante strumentalizzazione persino dei bambini che soffrono”.

“Adrano è un paese che ormai sconosce la vita”, la forte lettera di un giovane ad Alfano

in Bacheca/News/Politica di

Non spendere una parola, fare finta di nulla, lasciare correre, cedere alla rassegnazione significa contribuire al degrado sociale in cui versa la nostra amata città. Per questo, pubblichiamo la lettera ad Angelino Alfano scritta da un giovane di Adrano, Ciccio Logatto, pubblicata nella pagina Facebook del Ministro, tra i commenti alla sua visita per l’inaugurazione dell’asilo nido.
Vi invitiamo a leggera, comunque la pensiate. Associazione Culturale Symmachia

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Gentile ministro Angelino Alfano,
sono uno dei ragazzi che vive ad Adrano, il paese in cui si è recato per inaugurare questo asilo.. Volevo semplicemente farle notare che LEI STA DALLA PARTE SBAGLIATA DELLA STORIA! Adrano è un paese che ormai sconosce la vita! La pressione fiscale del pizzo è talmente alta che le pizzerie o i pub chiudono sempre pochi mesi dopo la loro apertura, l’attività commerciale fatica a crescere e non abbiamo abbastanza politici che lavorano per migliorare la nostra cittadina. Solamente nel 2016 in quel paese ci sono stati più di dieci furti ad attività commerciali (iniziati la notte di capodanno e purtroppo non ancora finiti). La polizia è arrivata sui luoghi del delitto spesso con ore di ritardo, poiché non ha i mezzi necessari per contrastare in modo forte e deciso questi atti (così dicono).
Sarebbe stata gradita una visita nel quale il ministro dell’interno avesse ascoltato le necessità della comunità. Invece come sempre arriva un semplice uomo, neanche troppo colto, viene scambiato per una persona influente (chi l’ha invitata la vede così) e anziché chiedere, parla! La inviterei a ritornare per darci una mano, ma sono contento che sia tornato a Roma… sono contento che dalla Sicilia non scappino solo le migliori menti, ma anche i peggiori ladri.

Ciccio Lo Gatto

Alfano, l’ipocrisia e Adrano che sprofonda

in Politica di

“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti ,che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume.”  

Gesù di Nazaret, in Vangelo secondo Matteo

L’ipocrisia è il peccato mortale dei politici, di quelli che amano la Costituzione, di quelli che promettono ma che subito dopo calpestano i diritti, non mantengono la parola data, dimostrandosi farisei, sepolcri imbiancati. Con la parola “ipocrisia”, a mio avviso, si coglie l’essenza della questione, cioè che i tratti distintivi di buona parte della classe politica sono l’ipocrisia, la menzogna, il tatticismo. Il politichese è l’arma dell’ipocrita. Questo è il tempo degli inganni e dire la verità è un atto rivoluzionario. Tentiamo di dire quella che secondo noi è la verità.

In questi mesi abbiamo pubblicato i fatti di cronaca accaduti ad Adrano con pochi commenti, per evitare di dare l’impressione di strumentalizzare una situazione esplosiva ed allarmante perché ci si rendeva conto della drammaticità della situazione. Ma la visita di Alfano no. E’ troppo!

Vigili urbani come non se ne sono visti mai visti in ogni angolo della città, forze dell’ordine allertate, scorte di tutti i tipi, pulizia straordinaria delle strade: serviva la visita di Alfano per ripulire persino le aiuole. 

Chiediamoci: perché questa visita? Perchè adesso? 

Il Ministro dell’Interno è stato invitato – a nostro avviso – non per tagliare un nastro, ma più semplicemente per “rintuzzare” l’impegno di quanti, tra forze politiche di Opposizione che hanno invitato il presidente della Commissione regionale Antimafia, Nello Musumeci, e giovani Scout che hanno promosso una manifestazione in cui si sono “imbucati” i soliti amministratori, hanno osato smuovere le acque fin troppo stagnate sulla situazione di emergenza per l’ordine pubblico. Iniziative che rompevano il silenzio assordante della classe dirigente politica. Insomma, Alfano è stato usato, usato per tentare di dare una risposta politica alla città. Un tentativo che è fallito. Non un invito per la sicurezza, non per le rapine ma per “politica”, per campagna elettorale per le regionali, solo per “mala politica”.

In ogni caso, al di là dei nostri malevoli pensieri, Alfano arriva in pompa magna ad Adrano.

Alfano? Chi è costui?

E’ per caso quel politico di lungo corso che da delfino di Berlusconi è traghettato, armi e bagagli, da Renzi? Si è proprio lui.

E’ per caso uno di quei politici che prima nei governi di centro destra e poi, dopo la transumanza nel centro sinistra ha contribuito ad approvare in parlamento i tagli lineari alle Forze dell’Ordine? Si è proprio lui.

E’ per caso il Ministro degli Interni contro cui sta protestando da oltre 50 giorni di sciopero della fame Gianni Tonioli, segretario del Sindacato di Polizia SAP, per denunciare i tagli indiscriminati alle Forze dell’Ordine? Si è lui.

Ecco perchè riteniamo che la “fiera” dell’ipocrisia è sempre aperta. Ecco perché il tatticismo e la mistificazione sono le armi del politico-ipocrita.

Non passerelle, non tagli di nastro, caro Signor Ministro, dovrebbe dare più mezzi alle Forze dell’Ordine, dovrebbe metterle nelle condizioni di riconquistare il territorio lasciato in mano alla malavita, dovrebbe dare la sensazione ai cittadini che lo Stato non li ha abbandonati.

Incredibile, vengono a promettere ordine, risorse, soluzioni e tacciono sul grave stato in cui sono costrette ad operare le Forze dell’Ordine. 

Il Ministro è andato a tagliare solo il nastro, è andato al bar o si è recato anche nei locali della Pubblica Sicurezza? IL Ministro si è accorto, se ma ci fosse andato, della fatiscenza dell’edificio? Il Ministro si è accorto, se mai ci fosse andato, se siano state rispettate le norme di sicurezza a protezione dei poliziotti?

Il Ministro ha chiesto al Sindaco da quanto tempo il Commissariato aspetta i lavori per la messa in sicurezza dell’edificio?

C’è da scoraggiarsi, ma dobbiamo reagire, ribellarci con l’unico strumento a nostra disposizione: parlare delle azioni inutili di certi politici, denunciandone, soprattutto l’ipocrisia. Brutta bestia è l’ipocrisia, ma bisogna batterla con la lotta, non illudersi di poter cambiare i politici-ipocriti perchè loro mentono persino a se stessi nella convinzione che siano gli altri ad essere falsi.

L’etica è l’unica risposta possibile e la verità è l’unica alternativa.

Antonio Cacioppo

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