di Maria Agata Salamone e Samuela Mannino
Oggi giorno, epoca in cui i nostri piccoli paesi locali vengono visti solo come aridi e improduttivi, abbiamo il piacere di farvi conoscere uno dei nostri orgogli siculi. Si tratta di Dino Rubino giovane musicista nato proprio a Biancavilla. Si appassiona subito alla musica iniziando a studiare pianoforte al conservatorio V. Bellini di Catania, per poi abbandonarlo per dedicarsi allo studio della tromba. Si lascia coinvolgere dal genere jazz rimanendo comunque legato al pianoforte, col passare del tempo decide di alternare i due strumenti creando qualcosa di originale. Oltre al suo talento vogliamo riconoscergli la grande disponibilità che ha mostrato verso di noi per questa intervista.
- Sei una delle poche persone che è riuscita a riscuotere successo nell’ambito musicale partendo da un piccolo paese come Biancavilla. Raccontaci in breve la tua storia partendo dagli albori.
Intanto vorrei ringraziare voi tutti per l’attenzione che mi avete rivolto, ne sono molto contento. Ho avuto la fortuna di crescere in un ambiente dove la musica era una compagnia di tutti i giorni.
Mio padre, oltre ad essere stato uno dei primi batteristi jazz della provincia di Catania e aver gestito per quattro anni un piccolo e fortunato club a Biancavilla in cui si sono esibiti i più importanti jazzisti Italiani e non, ha sempre amato l’arte e soprattutto la musica, un amore che evidentemente in qualche modo mi è stato trasferito.
Non saprei dire il momento esatto in cui ho scelto di fare il musicista perché le prime immagini di vita incominciano con dei suoni; ricordo bene che a tre anni sognavo di diventare un musicista, dunque successivamente i primi gruppi coi compagni locali, le prime esibizioni live dalle suore, l’iscrizione al Conservatorio di Catania, la banda del paese diretta da Padre Chisari, le novene durante il periodo natalizio! Insomma la musica è da sempre stata la compagnia più intima.
- Il tuo primo disco, “mi sono innamorato di te”, è stato registrato dall’etichetta Venus. Perché proprio in Giappone?
Nel 2008 presi parte alla registrazione di un disco di Francesco Cafiso per un’etichetta giapponese. Durante la recording in studio conobbi il produttore, Tetsuo Hara, e qualche mese dopo fui contattò dallo stesso per registrare un disco da leader.
Ricordo che andai in studio assieme altri musicisti con cui non avevo mai suonato e in due giorni registrammo “ Mi sono innamorato di Te”.
La session recording si è svolta in Italia ma il disco è stato pubblicato in Giappone.
Qualche tempo dopo ricevetti una telefonata da parte di una mia amica che si trovava in Giappone la quale mi raccontava di aver visto un manifesto per strada con una foto che mi ritraeva. Fu molto buffo sapere ciò!
- Sei un po’ un’eccezione: hai la caratteristica di suonare due strumenti così diversi, il piano e la tromba. Come mai questa scelta?
Questa è una domanda che mi hanno fatto e che continuano a farmi molte persone e che di tanto in tanto, ancora oggi, mi pongo anch’io. Ho avuto un rapporto molto difficile con la tromba.
All’età di ventidue anni, nonostante avessi l’appoggio e la stima di numerosi musicisti validi, decisi di non suonarla più. Ripresi così a studiare pianoforte e solo cinque anni dopo sentii il bisogno di riprendere nuovamente l’ottone abbandonato tra le braccia.
Dal 2008 ho iniziato a suonare entrambi gli strumenti con regolarità imparando a convivere con i vantaggi e svantaggi che questa situazione bizzarra delle volte mi comporta.
- Il tuo secondo album, “Zenzi”, è dedicato a Miriam Makeba, conosciuta anche come Mama Africa. Sappiamo che fu un’attivista politica contro il regime di apartheid in Sudafrica e che si spense poco tempo dopo la fine di un concerto contro il razzismo e la camorra, che era stato tenuto in Italia stessa per Roberto Saviano. Perché la scelta di dedicare l’album proprio a lei?
Ci sono persone che sfidano la vita con tanto coraggio riuscendo a realizzare molte cose.
Poi ce ne sono delle altre che vengono sfidate dalla vita; penso che sia soprattutto nel secondo caso in cui la vera forza e nobiltà d’animo di una persona si manifesta pienamente.
Miriam Makeba ha dimostrato di avere un coraggio e una dignità che noi tutti dovremo prendere come esempio; è stata una grande donna che ha fatto del bene all’umanità.
- Spesso un’artista è costretto a fare una vita da nomade spostandosi per le varie città. Avverti, a volte, il bisogno di ritornare nel tuo paese, alle tue origini?
L’amore per la musica e soprattutto per tutto quello che c’è dietro la stessa mi ha portato a fare delle scelte.
Da circa un anno vivo a Parigi e passo molto tempo in viaggio tra una città e l’altra, aeroporti, stazioni, hotel, ecc ecc…
Delle volte mi manca la Sicilia con i suoi odori, il Mediterraneo, l’Etna, ma il bisogno di fare musica è più forte di qualsiasi altra cosa e non assecondarlo significherebbe soffocare una delle parti più autentiche di quello che sono.
- Molti non seguono il proprio sogno per paura di non riuscire. Tu come sei riuscito a fare carriera? Cosa credi debba fare chi vuole intraprendere questa strada?
Chi non segue i propri sogni spesso lo fa perché li sconosce.
Quando una persona comprende che guardare la luna provoca in lei un forte senso di benessere, la sera, naturalmente, inizierà a cercarla tra le stelle.
Certo, ci saranno delle volte in cui non riuscirà a vederla per via delle nubi o forse per una leggera foschia ma continuerà comunque a cercarla perché sente che la sua anima ne ha un profondo bisogno.
Herman Hesse diceva che il primo passo per realizzare un sogno è scoprire quale sia.
Più un sogno è autentico più sarà la forza interiore che ci spingerà verso lo stesso.
- Parlaci un po’ del tuo ultimo disco.
Vorrei raccontare una storia che riguarda la registrazione di “Roaming Heart.”
La mattina del 16 Dicembre, dopo aver preso svariati treni, arrivai in uno studio di registrazione immerso nella campagna poco fuori da Parigi. A farmi compagnia, l’unica visto che si trattava di una session in piano solo, c’era il quaderno su cui avevo annotato tutte le idee e musiche che intendevo registrare durante quei due giorni.
Rientrato la sera a casa, ricevetti una mail da Paolo Fresu, splendida persona e artista che da quattro anni produce i miei lavori, la quale mi chiedeva di poter ascoltare il materiale registrato durante quella prima giornata.
La mattina successiva, una volta arrivato in studio, mandai a Paolo tutta la musica registrata e intorno alle 16.00 ricevetti una sua telefonata la quale mi diceva che tutto quello che aveva ascoltato andava bene ma che gli sarebbe piaciuto se nelle ultime poche ore rimanenti, avevo tempo fino alle 20.00, avessi potuto suonare della musica improvvisata sul momento.
Finita la conversazione ricordo che non avevo nessuna voglia di suonare, sentivo soltanto il bisogno di uscire da quella stanza per schiarirmi le idee. Dietro lo studio c’era un grande parco e anche se fuori piovigginava e faceva molto freddo uscii e camminai per circa un’ora. Rientrato un po’ umidiccio iniziai a suonare per due ore di fila.
Morale della favola, la maggior parte della musica contenuta in “Roaming Heart” è stata improvvisata in quelle due ultime ore. Il disco uscirà il 16 Giugno in Italia e Francia con una coproduzione che vede la Tùk Music di Fresu e la Bonsai Music di Pierre Darmon.
Riportiamo qui le sue parole “Chi non segue i propri sogni spesso lo fa perché li sconosce” è vero che troppo spesso ci viene dato tutto e dimentichiamo di rincorrere un sogno come invece ha fatto Dico riscendo ad eccellere nel suo campo.