L’importanza di avere una legge elettorale parlamentare

di Ludovico Vitale
Si è assistiti in maniera quasi tacita ad una decisione che ha dell’incredibile. La Repubblica Italiana subisce quotidianamente il dogma della Corte Costituzionale e lo accetta come se fosse unica fonte di verità.
Questa premessa appare il solito tentativo di chi vuole trovare la critica, il cavillo ad ogni circostanza. Può anche essere vero, ma serve solo a chiarire le idee.
Prima di svolgere l’approfondimento dovuto è bene partire dai fatti.
Il 25 Gennaio la Corte Costituzionale dichiarava incostituzionale quella parte della legge elettorale che prevedeva il ballottaggio tra le prime due liste sul territorio nazionale; ballottaggio che garantiva la maggioranza dei seggi di una sola Camera (la Camera dei Deputati).
La legge elettorale in questione, nota come Italicum, è stata fortemente voluta dal Governo Renzi nell’ambito di quella riforma costituzionale che sappiamo bene che fine ha fatto. E’ bene però anticipare che quel che sembra un dato di cronaca invece non lo è: l’intenzione del legislatore assume sempre una primissima importanza.
Ci si chiede: perché questa pronuncia? La domanda è fuorviante e ammette una duplice risposta. Da un lato si allude alla circostanza che 5 tribunali ordinari hanno posto questione di legittimità costituzionale, dall’altro alle motivazioni della sentenza che non sono ancora arrivate.
In assenza delle motivazioni è bene, a questo punto, cercare di intuire il possibile contrasto di un sistema con ballottaggio rispetto alla Costituzione.
Occorre, anzitutto, precisare che non esiste in alcun modo una norma che vieti esplicitamente il ballottaggio o, di converso, che sancisca l’inammissibilità di una legge elettorale che possa garantire ad una sola lista la maggioranza dei seggi.
Piuttosto si può ritenere che non sarebbe conforme alla volontà dei cittadini imporre un ballottaggio nella misura in cui sono gli stessi cittadini ad essere estremamente divisi. La circostanza aberrante che si vuole evitare è quella di avere una forza politica che abbia un consenso parlamentare molto ampio che non rispecchi un reale consenso nel paese, atteso che al secondo turno possano recarsi alle urne un numero basso di elettori. In un sistema bipolare tale circostanza non è realizzabile, tuttavia se si guarda alla storia dell’Italia repubblicana ci si accorge che il bipolarismo è stato solo una breve illusione. In tal modo si ritiene ammissibile un premio di maggioranza a quella lista che consegua al primo turno il 40%, in quanto si ritiene una soglia “democratica” per poter assegnare un numero elevato di seggi.
Al di là delle considerazioni di merito sarebbe ora opportuno fare un passo oltre: è legittimata la Corte Costituzionale a definire in modo così netto scelte di politica elettorale? Considerando che l’intenzione del legislatore era la seguente “il giorno dopo le elezioni si deve sapere chi vince e chi no”, è rispettoso del principio della separazione dei poteri un intervento che mira solo a rendere ancora più cogente un sistema costituzionale che induce al consociativismo?
Prima di rispondere a questo ordine di questioni va definito il ruolo della Costituzione nell’ambito della legislazione elettorale. Essa, come ho già anticipato, non impone limiti e/o veti che non riguardino sfacciatamente i diritti dei singoli cittadini. Tuttavia impone un diverso sistema elettorale tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica.
Sancisce l’articolo 57 della Costituzione: “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.
Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Cosa significa questo? Che la distribuzione dei seggi non può mai avvenire in modo identico per i due rami del parlamento. A meno che non si individui un sistema elettorale che bypassi questo “cavillo”. Tale sistema è quello noto come Mattarellum, che prende il nome dal suo autore, Sergio Mattarella, attuale Presidente della Repubblica. Questa legge elettorale, già sperimentata nel nostro ordinamento, prevede i collegi uninominali: l’elettore sceglierà tra diversi candidati e il più votato nella circoscrizione sarà parlamentare. Un sistema molto semplice che, quand’anche non riuscisse a garantire una maggioranza (è impensabile che, ad oggi, un solo partito, conquisti 310 seggi alla Camera e 160 al Senato) garantirebbe stabilità (stante l’assenza di partitini che possono risultare “decisivi”) e rappresentanza.
Orbene, non esiste alcuna legge elettorale perfetta, ma esistono diversi modelli di legge elettorale che si adattano più o meno bene alla forma di stato e che siano più o meno rispettosi dei principi costituzionali dello stato. Stante lo scollamento tra politica e cittadini, stante la difficoltà a formare dei governi stabili, il Mattarellum è, senza dubbio, il sistema che meglio si adatta alla nostra Costituzione.
Ammesso che sarebbe opportuno che il legislatore prema perché si ritorni a quella legge, si deve ora rispondere alla questione principale: è ammissibile in uno stato di diritto, un’usurpazione così forte?
La Corte Costituzionale, in primo luogo, con questa pronuncia smonta quelle fuorvianti interpretazioni circa l’illegittimità della scorsa legislatura. Ci si ricorderà, infatti, della precedente pronuncia sul “Porcellum” e delle conseguenti illazioni quali “parlamento illegittimo!” e via dicendo. Se si ammettesse, infatti, che la scorsa legislatura non è titolare delle sue piene funzioni dovrà essere altrettanto illegittima la composizione della Corte Costituzionale e, di conseguenza, anche le pronunce della stessa su entrambe le leggi elettorali che, allora, sarebbero sicuramente conformi. Così pensando l’unica legge in vigore sarebbe il “Porcellum” così come voluto dal legislatore del tempo. Il che è fantadiritto.
Ammessa e non concessa questa fantasiosa ricostruzione della realtà sarà giocoforza inevitabile escludere che l’illegittimità (qui sostenuta) della pronuncia della Corte possa trovare fondamento su una sua stessa sentenza.
Tornano invece utili due elementi: l’intenzione del legislatore e l’inciso finale della massima di giorno 25 gennaio.
Come dicevo poc’anzi, il legislatore aveva legiferato immaginando applicabile la legge elettorale solo ad una Camera. Può, questo elemento, insieme alla circostanza che di camere elettive ne abbiamo ancora due, far venir meno la ratio sottesa alla stessa riforma?
La risposta non può che essere negativa se si considera che l’obiettivo della “stabilità” può comunque essere conseguito e se si ritiene che, la legislatura in corso sia stata democraticamente eletta.
Viene, a questo punto, in nostro aiuto l’inciso finale della massima: “All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”.
Questo inciso inevitabilmente finisce col cozzare con l’intenzione del legislatore. Posto che quest’ultima non può essere di certo considerata un tabù intangibile, ci si chiede però se un tale stravolgimento può essere ammesso/ammissibile in uno stato di diritto.
La risposta di chi scrive è negativa. Non esistono norme che vietano e/o impongono alla Corte di pronunciarsi solo su alcune parti di una legge, anzi, tale tecnica è spesso adottata. Ma quello che rileva maggiormente è che, la presunta incostituzionalità di una legge viene elevata a causa per imporre al Parlamento (unico organo democraticamente eletto) una legge diversa da quella voluta. Non mancano infatti modalità mediante cui la Corte avrebbe potuto influenzare, condizionare e consigliare il potere legislativo senza rendere immediatamente applicabile una legge svuotata della sua ratio, quand’anche la legge è per certi aspetti irrazionale e potenzialmente lesiva di diritti costituzionalmente garantiti.
Una forma istituzionale mediante cui è stato realizzato un eccesso di potere che, ad oggi, non è suscettibile di “controllo”, se non quello del Parlamento che, a questo punto, è chiamato a non tirarsi indietro e a svolgere compiutamente le sue funzioni facendo una degna ed autonoma legge elettorale.
Perché se in una democrazia in crisi ciascuno dei poteri inizia a svolgere le proprie funzioni in maniera del tutto arbitraria ed elusiva delle norme di diritto, le conseguenze non possono che essere più gravi di quelle la Corte ha immaginato nel ritenere incostituzionale una legge elettorale.