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Ludovico Vitale

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L’importanza di avere una legge elettorale parlamentare

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di Ludovico Vitale

Si è assistiti in maniera quasi tacita ad una decisione che ha dell’incredibile. La Repubblica Italiana subisce quotidianamente il dogma della Corte Costituzionale e lo accetta come se fosse unica fonte di verità.

Questa premessa appare il solito tentativo di chi vuole trovare la critica, il cavillo ad ogni circostanza. Può anche essere vero, ma serve solo a chiarire le idee.
Prima di svolgere l’approfondimento dovuto è bene partire dai fatti.

Il 25 Gennaio la Corte Costituzionale dichiarava incostituzionale quella parte della legge elettorale che prevedeva il ballottaggio tra le prime due liste sul territorio nazionale; ballottaggio che garantiva la maggioranza dei seggi di una sola Camera (la Camera dei Deputati).
La legge elettorale in questione, nota come Italicum, è stata fortemente voluta dal Governo Renzi nell’ambito di quella riforma costituzionale che sappiamo bene che fine ha fatto. E’ bene però anticipare che quel che sembra un dato di cronaca invece non lo è: l’intenzione del legislatore assume sempre una primissima importanza.

Ci si chiede: perché questa pronuncia? La domanda è fuorviante e ammette una duplice risposta. Da un lato si allude alla circostanza che 5 tribunali ordinari hanno posto questione di legittimità costituzionale, dall’altro alle motivazioni della sentenza che non sono ancora arrivate.
In assenza delle motivazioni è bene, a questo punto, cercare di intuire il possibile contrasto di un sistema con ballottaggio rispetto alla Costituzione.

 

Occorre, anzitutto, precisare che non esiste in alcun modo una norma che vieti esplicitamente il ballottaggio o, di converso, che sancisca l’inammissibilità di una legge elettorale che possa garantire ad una sola lista la maggioranza dei seggi.
Piuttosto si può ritenere che non sarebbe conforme alla volontà dei cittadini imporre un ballottaggio nella misura in cui sono gli stessi cittadini ad essere estremamente divisi. La circostanza aberrante che si vuole evitare è quella di avere una forza politica che abbia un consenso parlamentare molto ampio che non rispecchi un reale consenso nel paese, atteso che al secondo turno possano recarsi alle urne un numero basso di elettori. In un sistema bipolare tale circostanza non è realizzabile, tuttavia se si guarda alla storia dell’Italia repubblicana ci si accorge che il bipolarismo è stato solo una breve illusione. In tal modo si ritiene ammissibile un premio di maggioranza a quella lista che consegua al primo turno il 40%, in quanto si ritiene una soglia “democratica” per poter assegnare un numero elevato di seggi.

Al di là delle considerazioni di merito sarebbe ora opportuno fare un passo oltre: è legittimata la Corte Costituzionale a definire in modo così netto scelte di politica elettorale? Considerando che l’intenzione del legislatore era la seguente “il giorno dopo le elezioni si deve sapere chi vince e chi no”, è rispettoso del principio della separazione dei poteri un intervento che mira solo a rendere ancora più cogente un sistema costituzionale che induce al consociativismo?

 

Prima di rispondere a questo ordine di questioni  va definito il ruolo della Costituzione nell’ambito della legislazione elettorale. Essa, come ho già anticipato, non impone limiti e/o veti che non riguardino sfacciatamente i diritti dei singoli cittadini. Tuttavia impone un diverso sistema elettorale tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica.

 

Sancisce l’articolo 57 della Costituzione: “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.

Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Cosa significa questo? Che la distribuzione dei seggi non può mai avvenire in modo identico per i due rami del parlamento. A meno che non si individui un sistema elettorale che bypassi questo “cavillo”. Tale sistema è quello noto come Mattarellum, che prende il nome dal suo autore, Sergio Mattarella, attuale Presidente della Repubblica. Questa legge elettorale, già sperimentata nel nostro ordinamento, prevede i collegi uninominali: l’elettore sceglierà tra diversi candidati e il più votato nella circoscrizione sarà parlamentare. Un sistema molto semplice che, quand’anche non riuscisse a garantire una maggioranza (è impensabile che, ad oggi, un solo partito, conquisti 310 seggi alla Camera e 160 al Senato) garantirebbe  stabilità (stante l’assenza di partitini che possono risultare “decisivi”) e rappresentanza.

Orbene, non esiste alcuna legge elettorale perfetta, ma esistono diversi modelli di legge elettorale che si adattano più o meno bene alla forma di stato e che siano più o meno rispettosi dei principi costituzionali dello stato. Stante lo scollamento tra politica e cittadini, stante la difficoltà a formare dei governi stabili, il Mattarellum è, senza dubbio, il sistema che meglio si adatta alla nostra Costituzione.

Ammesso che sarebbe opportuno che il legislatore prema perché si ritorni a quella legge, si deve ora rispondere alla questione principale: è ammissibile in uno stato di diritto, un’usurpazione così forte?

La Corte Costituzionale, in primo luogo, con questa pronuncia smonta quelle fuorvianti interpretazioni circa l’illegittimità della scorsa legislatura. Ci si ricorderà, infatti, della precedente pronuncia sul “Porcellum” e delle conseguenti illazioni quali “parlamento illegittimo!” e via dicendo. Se si ammettesse, infatti, che la scorsa legislatura non è titolare delle sue piene funzioni dovrà essere altrettanto illegittima la composizione della Corte Costituzionale e, di conseguenza, anche le pronunce della stessa su entrambe le leggi elettorali che, allora, sarebbero sicuramente conformi. Così pensando l’unica legge in vigore sarebbe il “Porcellum” così come voluto dal legislatore del tempo. Il che è fantadiritto.
Ammessa e non concessa questa fantasiosa ricostruzione della realtà sarà giocoforza inevitabile escludere che l’illegittimità (qui sostenuta) della pronuncia della Corte possa trovare fondamento su una sua stessa sentenza.
Tornano invece utili due elementi: l’intenzione del legislatore e l’inciso finale della massima di giorno 25 gennaio.
Come dicevo poc’anzi, il legislatore aveva legiferato immaginando applicabile la legge elettorale solo ad una Camera. Può, questo elemento, insieme alla circostanza che di camere elettive ne abbiamo ancora due, far venir meno la ratio sottesa alla stessa riforma?
La risposta non può che essere negativa se si considera che l’obiettivo della “stabilità” può comunque essere conseguito e se si ritiene che, la legislatura in corso sia stata democraticamente eletta.

Viene, a questo punto, in nostro aiuto l’inciso finale della massima: “All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”.

 

Questo inciso inevitabilmente finisce col cozzare con l’intenzione del legislatore. Posto che quest’ultima non può essere di certo considerata un tabù intangibile, ci si chiede però se un tale stravolgimento può essere ammesso/ammissibile in uno stato di diritto.

La risposta di chi scrive è negativa. Non esistono norme che vietano e/o impongono alla Corte di pronunciarsi solo su alcune parti di una legge, anzi, tale tecnica è spesso adottata. Ma quello che rileva maggiormente è che, la presunta incostituzionalità di una legge viene elevata a causa per imporre al Parlamento (unico organo democraticamente eletto) una legge diversa da quella voluta. Non mancano infatti modalità mediante cui la Corte avrebbe potuto influenzare, condizionare e consigliare il potere legislativo senza rendere immediatamente applicabile una legge svuotata della sua ratio, quand’anche la legge è per certi aspetti irrazionale e potenzialmente lesiva di diritti costituzionalmente garantiti.

Una forma istituzionale mediante cui è stato realizzato un eccesso di potere che, ad oggi, non è suscettibile di “controllo”, se non quello del Parlamento che, a questo punto, è chiamato a non tirarsi indietro e a svolgere compiutamente le sue funzioni facendo una degna ed autonoma legge elettorale.

 

Perché se in una democrazia in crisi ciascuno dei poteri inizia a svolgere le proprie funzioni in maniera del tutto arbitraria ed elusiva delle norme di diritto, le conseguenze non possono che essere più gravi di quelle la Corte ha immaginato nel ritenere incostituzionale una legge elettorale.

Chi demolisce la cristianità, demolisce l’Europa

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Appunti sulla libertà di stampa e sul ‘diritto di satira’. Ecco perché Nuzzi e Charlie non aiutano la lotta al terrorismo.

Teoreti teocon grideranno Allelujah alla lettura del titolo di quest’articolo ma si sbagliano di grosso. L’Europa non è sol figlia della cristianità, ma anche del paganesimo, dell’ellenismo, dell’illuminismo e così via. Non è un problema di “tradizione”. Anzi, semmai, è un problema che riguarda il futuro. Quale Europa lasceremo ai nostri figli? L’Europa della libertà, e del concetto cristiano di libertà (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”)? O

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La Torre di Babele

L’Europa dell’anarchia e del nichilismo?

Per intenderci: tutto ruota attorno al concetto di libertà. Se intesa in un’accezione sfrenata, incapace di tutelarne gli obbiettivi perseguiti dalla stessa si raggiungerà l’anarchia, il caos. Che, per definizione, non rende liberi ma prigionieri. Se intesa in un’accezione cristiana (la fede va testimoniata, non imposta) l’agere umano necessiterà di regole che tuteleranno gli obbiettivi perseguiti dalla stessa. Si, avete capito bene: LIBERTA’ = REGOLE. Come faccio a essere libero se non c’è regola che me lo consente, se non c’è tutela alcuna?
Lo stesso concetto va esportato e reso funzionale al tema della libertà di stampa. Si ricaverà così una risposta al quesito posto all’inizio. Quale Europa lasceremo ai nostri figli?
Il concetto di libertà di stampa non può essere trattato senza tener conto del diritto, perché non può trovare applicazione se non nella sua dimensione giuridica. Va da se che il solo articolo 21 della Costituzione della Repubblica non è bastevole a indicarne la disciplina, ragion per cui va citata la giurisprudenza nomofilattica.
Secondo la Cassazione il diritto di stampa è legittimamente esercitato se concorrono le seguenti condizioni: l’utilità sociale dell’informazione, la verità dei fatti esposti e la forma civile dell’esposizione. Il diritto di satira, invece (a parte qualche minoritaria ma non argomentata posizione dottrinale) non esiste nel diritto vivente, nel senso che non può essere invocata questa figura, come una figura autonoma, per la ragione che non v’è citata in nessun testo normativo. Vanno perciò applicate alla satira le medesime regole previste per la “stampa”, rivolgendo però non al deliberato e palese messaggio distorsivo della realtà ma alla comunicazione reale che essa vuol trasmettere. Concluse le precisazioni occorre tornare al tema di fondo: il futuro dell’Europa. Già, perché non si può sbandierare la lotta al terrorismo islamico se non ci si comporta di conseguenza. Invocare la libertà vuol dire praticarla. Chi la sconfessa aiuta coloro che vogliono demolirla. Non è un problema che riguarda, dunque, il merito dei messaggi che anticlericali e cristianofobi vari intendono trasmettere. E’ invece un problema che attiene all’esercizio del proprio ruolo, che, purtroppo, in alcuni casi non è in linea con un futuro di libertà.
Date dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.

Ciao Alessio, adesso ascoltiamo chi non la pensa come te

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Controreplica al monologo, ormai virale, svolto in presenza del Ministro Boschi in visita a Catania da parte di uno studente catanese, Alessio Grancagnolo.

Ciao Alessio, mi vergogno di essere un tuo collega e ti spiego il perché. Non voglio assolutamente indossare i panni del cortigiano di turno, eppure il tuo intervento e la sua risonanza mediatica mi turbano un po’, dunque mi sento in dovere di intervenire e smorzare una retorica che si è fatta davvero pesante.

Ho ascoltato il tuo discorso e se negassi che certe argomentazioni sono condivisibili mi sbaglierei di brutto. Procediamo con ordine. Cominci col distinguere tra profili di metodo e profili di merito. Sui primi si rischia di parlare del sesso degli angeli.

In primo luogo perché, se è vero che vi è stato un impulso da parte del potere esecutivo è altrettanto vero che il Parlamento ha approvato (non una ma due volte) il testo di questa riforma. Perché non una critica nei confronti di Deputati e Senatori che hanno votato questo testo, posto che qualcuno li abbia costretti? Ma il vero punto non è questo. I costituenti, di cui ti riempi la bocca (alle volte a sproposito), ben conoscevano i rischi che una riforma costituzionale avrebbe potuto comportare se rimessa alla mera forza politica di maggioranza. Hanno così immaginato un sistema in cui, ove vi fosse un’ampia convergenza, espressione di più forze politiche che rappresentano una larga parte del Paese, il testo può considerarsi approvato; ove l’ampia convergenza non vi fosse (e vi fosse la maggioranza assoluta anziché quella dei due terzi) si procederebbe ad un referendum di tipo confermativo. I cittadini, cioè coloro che hanno mandato in Parlamento Deputati e Senatori, possono liberamente scegliere, senza alcun filtro di rappresentatività.

Se i parlamentari favorevoli alla riforma fossero stati davvero costretti, o fossero stati minoranza (in virtù della illegittimità del premio di maggioranza), non vedo perché temi che i rappresentati possano confermare la proposta In ogni caso, quale che sia l’esito del voto, è certamente più conforme a princìpi democratici il voto espresso da un’intera comunità piuttosto che da alcuni rappresentanti. Questo dovresti saperlo. E invece? Solo banale retorica. Quanto ai profili di merito ti riempi la bocca di parole come “deriva plebiscitaria”, “investitura” e termini che alludono a regimi totalitari. I regimi totalitari, sono il frutto di un non governo, sono il frutto della fame. Non sono il frutto di un sistema bicamerale in cui solo uno dei due collegi voterà la fiducia. Specie se il Senato rimane titolare della competenza legislativa in modo pieno, ancorché non esclusivo, su riforme e leggi costituzionali. Ciò che sparisce è dunque la cosiddetta navetta parlamentare, di cui ti lamentavi forse a tua insaputa. Infatti il Senato potrà richiedere alla Camera dei Deputati di poter modificare le leggi ordinarie, che non rimangono esclusiva né di una camera né del Presidente del Consiglio.

Il Senato, anziché essere composto da soggetti come Scilipoti, voluti pressoché da nessuno, verrà composto da soggetti che sono vera espressione della volontà popolare. Rimarrà titolare dei voti sulla nomina dei giudici costituzionali e sull’elezione del capo dello stato. Vengono inoltre introdotti limiti sui decreti legge, visto che, come tu stesso riconosci, v’è stata negli ultimi anni un effettiva ingerenza del Governo. Viene dato spazio (a proposito di democrazia plebiscitaria, di regimi e così via) al “Referendum propositivo e d’indirizzo”, che, come immagino tu sappia, non era precedentemente contemplato dalla nostra Carta.

Vedi? Mi vergogno di essere tuo collega perché ci sono tutte queste cose che non dici. O perché non le sai, e ciò toglie onore e prestigio ad un Corso di Laurea che fino ad ora mi ha fatto solo sgobbare, o perché deliberatamente le nascondi, e questo forse sarebbe più grave, perché le tue accuse sarebbero soltanto uno specchio che riflette il tuo pensiero. Non mi interessa trovare una risposta; spero che ce ne sia una terza e che me la possa offrire tu, nell’assoluta libertà di pensiero, libertà che fino ad ora non ti è stata tolta da nessuno, e che un voto invece ti darebbe.

Ludovico Vitale

IL VIDEO INTEGRALE.

L’INTERVENTO DELLO STUDENTE E LA REPLICA DEL MINISTRO

 

Ma quant’è bella Bruxelles! E io? Perchè devo lavorare?

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Meno di un anno fa abbiamo scelto, democraticamente, i nostri “eurodeputati”. Oggi, sulla base di dati resi pubblici, facciamo un resoconto dei deputati che abbiamo eletto in Sicilia.
9500 elettori ad Adrano, 7500 elettori a Biancavilla, oltre che il resto degli elettori siciliani hanno scelto Caterina Chinnici, Salvatore Cicu, Ignazio Corrao, Michela Giuffrida, Giovanni La Via e Salvo Pogliese.
Costoro presentano un duplice requisito: sono stati eletti nella circoscrizione isole e, in quanto siciliani di nascita, fanno politica in Sicilia (motivo per cui escludiamo coloro eletti nella circoscrizione isole ma appartenenti, politicamente, alla Sardegna).
Li abbiamo messi in ordine meramente alfabetico onde evitare equivoci, accuse di imparzialità e quant’altro.
Come ho già detto si tratta di un’analisi sull’operato, sul lavoro svolto, chiamatelo un po’ come volete. Utilizzeremo dati pubblici consultabili, quindi, da chiunque.
Per quanto riguarda la partecipazione alle votazioni ufficiali d’assemblea (e non dunque di commissione) la media è generalmente alta. Andiamo dal 92% di La Via (NCD) al 99% della Chinnici (PD).
Se invece analizziamo il lavoro nelle commissioni la situazione muta eccome.
I più presenti in aula sono Cicu (Forza Italia), La Via, Giuffrida (PD) e Chinnici risultando, complessivamente, tra i primi 100 parlamentari più presenti. Nella media Corrao (M5S), quasi totalmente assente Pogliese (Forza Italia).
Il lavoro in commissione, come tutti sanno, non consta però solo di presenze. Gli atti che (quantitativamente) possono testimoniare un certo impegno e che dunque portiamo alla vostra attenzione saranno domande, mozioni ed opinioni.
In tal senso tra i parlamentari più attivi, non soltanto italiani, vi è Ignazio Corrao. Constatiamo un elevato ammontare di interventi anche per il professor La Via.
Una media decisamente bassa per quanto riguarda la Chinnici, la Giuffrida e Cicu.
Salvo Pogliese si rivelerebbe, invece, tra i “peggiori” europarlamentari. Pogliese risulta infatti tra gli ultimi posti per quanto riguarda le mozioni presentate. Non va troppo meglio su domande ed opinioni.
Da un analisi generale possiamo comunque desumere che, visto l’alto numero di presenze in votazione, questi signori che abbiamo eletto, chi più chi meno, vota esclusivamente su indicazione del gruppo parlamentare di appartenenza, senza dare troppa importanza alle voci di coloro che hanno contribuito alla loro elezione (gli elettori).
Questo dato, quello del voto pressoché inconsapevole, va accompagnato da un altro dato: quello del loro stipendio. Questo non lo faccio con la solita retorica di chi lamenta un alto stipendio del politico, ma con l’intenzione di aprire una riflessione. Nel mercato del lavoro di oggi una cosa è certa: più ore lavori più guadagni. Meno lavori e meno guadagni. Dovrebbe essere così, ed in realtà non lo è. E questi deputati sono la palese dimostrazione.
Ad uno stipendio base, di 7655€ per mensilità lavorativa deve aggiungersi un’indennità per ogni giorno di presenza (per votazione, lavoro in commissione e quant’altro) di 304€. Altri 4299€ al mese vanno loro di diritto purché vengano utilizzati per attività concernenti l’esercizio del loro mandato (trasmissione atti a Parlamento nazionale, acquisto computer, invio posta e così via). E ancora 4200 € al mese vincolati alle spese di viaggi entro i confini comunitari (aerei, taxi, treni).
I giorni di ferie non determinano in alcun modo diminuzione dello stipendio. Infine, oltre a poter utilizzare le autovetture ufficiali del Parlamento quando si trovano a Strasburgo e Bruxelles, i deputati hanno a disposizione anche un centro fitness con piscina, sale per massaggi, allenamento, squash, fisioterapia, solarium, saune, centro estetico aperto dal lunedì mattina fino al venerdì con corsi di yoga, body sculpt, kick boxing e zumba.
Non amo la retorica ma la situazione è sotto gli occhi di tutti. Lascio quindi liberi di commentare tutti i lettori.
Con la speranza che i nostri delegati primeggino nelle classifiche di produttività e sappiano portare all’attenzione di un organo troppo importante nelle dinamiche odierne (il Parlamento Europeo) tutte le problematiche che questa terra si porta addosso, problematiche sulle quali hanno condotto e vinto la loro campagna elettorale.

Le “manovre” di Palazzo. Donna al volante pericolo costante

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C’eravamo lasciati, un mese fa circa, con una rosa di nomi, la quale rosa, rispetto a quelle pervenute alľopinione pubblica in questi giorni, rimane pressocchè simile, con qualche nome in meno e qualcun altro in più.
Rosa, già, come il nome di una donna. Eccezion fatta per Anna Finocchiaro ed Emma Bonino che hanno possibilità minime di farcela, sono tutti uomini coloro che ambiscono a diventare capo di stato.
Tuttavia il sottoscritto non crede a quel proverbio, ragion per cui dopo le grandi manovre di palazzo si teme un incidente (o pericolo “costante”).
Provando a ricalcare ľimpostazione di chi sta giocando questa delicata partita possiamo difatti tirare le somme e giungere ad una scaletta di dinamiche che inizieranno con il primo voto e termineranno con il prossimo presidente.
Mattarella e Amato sembrano i favoritissimi, si aspettava solo il ‘si’ di Berlusconi, che ovviamente non è arrivato.
Renzi dichiara comunque che il nome verrà fuori al quarto scrutinio (quando la maggioranza richiesta si riduce).
Il Movimento 5 Stelle inserisce nella propria lista Prodi e Bersani (poco simpatici agli occhi delľex cavaliere).
Quel che resta delle opposizioni, interne ed esterne ai partiti che stanno giocando ďattacco, tifa contro ľasse tra Renzi e Berlusconi.
Tutto “normale”.
Sarà dunque normale se alle prime tre “chiame” i nemici del ‘Patto del Nazareno’ proveranno a dare forza a un nome che spiazzerebbe Renzi costringendolo a scegliere se mantenere o rompere il patto con Berlusconi. Sarà normale che i grandi elettori sfrutteranno questo voto per ringraziare qualcuno o vendicarsi per qualcosa.
Sarà normale se, ancora per una volta, non ci sarà una donna. Io mi auguro di no.
Quel che è quasi certo è che il prossimo capo di stato sarà una persona legata in qualche modo al PD. Sia che lo elegga Forza Italia, sia che non lo elegga.
Finocchiaro, Mattarella, Chiamparino, Fassino, Veltroni, Bassanini, Prodi e Bersani, con Amato asso nella manica in caso di empasse istituzionale.
Ma le manovre di palazzo non smettono mai di stupire, quindi aspettiamoci di tutto.
In fin dei conti chi si sta eleggendo, soltanto il Presidente della Repubblica, no?

Adrano abusiva, Adrano abusata

in Ludovico Vitale di

Quando si parla di abusivismo, e lo si fa con riferimento ad Adrano, vengono in mente svariate circostanze.
Si pensa, ad esempio, agli abusi edilizi, che potevano essere “sanati” mediante una dazione di danaro, la quale spesso (e volentieri) veniva, e viene tutt’ora, condonata.
Si pensa alle micro-discariche abusive, frutto in primis dell’inciviltà, regnante sovrana, ed anche dell’incapacità di trovare un rimedio al problema rifiuti.

Quasi mai si pensa ai mercati rionali (per intenderci, il mercato nel quartiere di San Leo il martedì ed il venerdì mattina).
Lì dovrebbero essere assegnate delle postazioni che permettono ai singoli rivenditori di poter sistemare la propria roba. Ed in effetti, nella maggior parte dei casi avviene ciò.
Tuttavia, mediante testimonianze orali (che rimangono tali, fin quando non si potrà avere una prova migliore), e non per questo frutto di immaginazione, siamo giunti a conoscenza di un episodio (che sia circoscritto o che sia d’abitudine questo non si sa) parecchio spiacevole.
Un ragazzo di colore stava appostandosi nella propria postazione regolarmente assegnata. Solo che degli ignoti adraniti, approfittando della sua condizione, con atti intimidatori e (si direbbe) violenti hanno fatto si che il ragazzo si togliesse per far posto a loro. E quando ci si è chiesti se ciò fosse possibile, quando qualcuno ha provato a capire cosa stava succedendo, chi di dovere non ha svolto il suo compito. In totale silenzio, quasi a voler giustificare gli attori dell’ignobile gesto. Un silenzio assenso. Un silenzio assordante.
Un silenzio indice che il mancato rispetto delle regole, da parte di chi dovrebbe rispettarle e di chi dovrebbe farle rispettare, porta ad abusi. Abusi, intesi come errori, come distorsioni di ciò che dovrebbe essere.

Ed è per questo che, forse, le cose non cambiano. Non è un discorso moralista o giustizialista, anzi.
Nell’eterna guerra dei due mondi, tra i buoni e i cattivi, tra i sedicenti onesti e i disonesti, si è prodotto poco o nulla. Sterilità, frutto (contingente) di una guerra. Perché non si è mai fatta una distinzione tra moralità pubblica e moralità privata. Perché a casa propria si può lasciar la spazzatura dove si vuole (dubito che lo si faccia), mentre fuori da casa propria, cioè a casa di tutti, la si deve lasciare quando e dove le regole generali (giuste o sbagliate che siano) stabiliscono.
Perché se si è chiamati a svolgere un ruolo di comando e si è a casa propria si può fare, nei limiti del normale, ciò che si vuole (un  padre di famiglia può educare il figlio a questo piuttosto che a quell’altro valore).
Ma se si è classe dirigente, se si è, dunque, amministrazione comunale, amministrazione territoriale, amministrazione dei servizi, bisogna comportarsi in una certa maniera. Il dovere di adempiere ai propri doveri non si può sintetizzare in una mera operazione di facciata, nell’apparire belli, con un auto modesta, con l’aria sicura.

Si deve stare con la schiena dritta, senza farsi mettere sotto scacco, senza sentirsi (o essere) ricattati.
Compito di tutti, compito, quindi, di nessuno. Mentre persone, quartieri, servizi vengono abusati.

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