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Antonio Cacioppo

La rivolta di un popolo contro un’oligarchia che ruba ai poveri per dare ai ricchi

in Antonio Cacioppo/Attualità di

La Francia è in ebollizione, l’impressione netta è che gli umiliati, gli ultimi, gli sfruttati, i reietti della globalizzazione si siano stancati. Contadini, studenti, autotrasportatori, impiegati, un popolo in rivolta. Rivolta spontanea, senza intermediari, senza partiti e sindacati, questo movimentismo terrorizza i potenti, preoccupa i tiranni, e dimostra come le vecchie categorie politiche del secolo scorso siano definitivamente tramontate, grazie ad un’opposizione non più orizzontale (destra-sinistra) ma verticale: popolo contro élite, poveri contro ricchi, dominati contro dominanti. Ed è inutile che uno spregevole ceto giornalistico, prezzolato dal potere, tenti una narrazione dei fatti tesa a sporcare l’immagine  dei gilet gialli, descrivendo la loro azione come una “misera” protesta contro il caro carburanti. No, cari giornalisti o “sottoclasse dominata all’interno della classe dominante”, come vi ha definito Costanzo Preve, questa rivolta è un miracolo che non riuscite a capire.

Come non riuscite a capire la vera natura del liberalcapitalismo che si è materializzata con le immagini della umiliazione riservata agli studenti costretti dalla polizia a inginocchiarsi o alla terribile scena delle percosse ad un disabile, repressione violenta di un governo che risponde solo alle istituzioni finanziarie, alle multinazionali e alle banche. Non capite che le persone  vivono ormai nella sensazione di essere state abbandonate da un’élite che si è trasformata in in casta, non capite che si è prodotta una frattura che segna la fine di un ciclo storico, non capite che un mondo sta morendo ed un altro, anche se a fatica, sta per nascere.

Per non parlare degli intellettuali proni al pensiero unico, a cui sfugge totalmente la comprensione di una sollevazione fatta da un popolo intero, un popolo che si è tentato invano di eliminare dalla storia, ma che è ancora vivo, un popolo che vuole tornare libero, libero di scegliere.                                                                                                                                                                                                                                        Un popolo che cresce nella autoconsapevolezza rivoluzionaria per i diritti.

Un popolo in tumulto, che diventa fiume in piena, che cresce a dismisura, esonda senza vincoli ideologici o di classe.

Un popolo vero, genuino, portatore di interessi generali e di bisogni giusti.

Un popolo in rivolta contro lo spirito corrotto delle élite neoliberiste, espressione di un establishment malato, malato di globalizzazione, di sete di profitto, di mercificazione, di mercatismo che ha come unico obiettivo il denaro.

Un popolo che indica la strada per una rivolta etica, un’etica eroica, nobile, di una nobiltà visionaria e sognatrice, desiderosa di un sogno puro e spontaneo di riscatto, sogno come rivalsa spirituale contro ogni iniquità, contro ogni abbrutimento.

Un popolo contro un’oligarchia che ruba ai poveri per dare ai ricchi.

Finanziaria coraggiosa, si parte dai poveri, mondo della finanza indispettito, il ricordo va ad una donna straordinaria: Maria Baratto

in Antonio Cacioppo/Attualità di
Finanziaria coraggiosa, si parte dai poveri, dai disoccupati, dalle pensioni di fame, mondo della finanza indispettito, Europa allarmata con i suoi accoliti serventi e il ricordo va ad una donna straordinaria: Maria Baratto.

di Antonio Cacioppo

                Vittime                                          e                                          Carnefici

E’ stata varata dal Consiglio dei Ministri la manovra finanziaria, una manovra, per certi versi storica, perché sembra andare verso una direzione opposta alle politiche dominanti, una manovra che va verso i dimenticati, i precari, i senza futuro, i senza voce, gli ultimi. E la mia attenzione, come in preda ad un riflesso condizionato, va a due figure paradigmatiche, Sergio Marchionne e Maria Baratto. Esse rappresentano meglio di ogni altra cosa, la posta in gioco in termini di futuro per la nostra società, rappresentano due mondi diversi, un mondo intriso di barbarie e l’altro che lotta per la civiltà, da una parte la disumanizzazione e dall’altra l’umanesimo del lavoro, da una parte i carnefici e dall’altra le vittime.

Il 14 Settembre si è svolta a Torino la messa  in commemorazione di Sergio Marchionne. Niente di speciale, direbbe qualcuno, a due mesi dalla sua scomparsa si è trattato soltanto di un modo per ricordarlo. Tutt’altro, la messa di suffragio si è trasformata nel ricordo non tanto dell’uomo ma del manager, non è stata solo una funzione religiosa ma una manifestazione ideologica per celebrare un sistema, il sistema che il manager incarnava. “Marchionne – ha detto durante l’omelia l’Arcivescovo di Torino Nosiglia – ci ha insegnato a non aver paura delle novità”, ed Elkann, commosso, ha ricordato che Marchionne amava dire: ”io sono un metalmeccanico”.  Affermazioni queste, che superano ogni limite e decenza. Non si può far finta di nulla. Rabbia, sdegno, disgusto possono essere  esternate con l’unica arma in mio possesso: le parole.

Rabbia, sdegno e disgusto per  l’orda di intellettuali, politici, giornalisti, arcivescovi e persino sindacalisti, tutti accomunati dall’ideologia del “lecchinismo”, rabbia, sdegno e disgusto per i fiumi di parole, per la celebrazione, per la beatificazione agiografica, a reti unificate, dei presunti meriti del “santo”con il pullover.

Disprezzo per questa classe imprenditoriale che impone la segmentazione del lavoro, le gabbie “mansionarie” . Cosa volete, il pensiero unico non permette  di ricordare che il manager italocanadese ha cacciato dall’azienda alcuni iscritti alla Fiom, ha fatto passare il numero di operai della FIAT da 120000 del 2000 ai 29000 di oggi, ha costretto gli operai a piegare la testa, pena il licenziamento, per costringerli ad accettare contratti capestro.

Marhionne – dimenticando le cospicue risorse elargite dallo Stato Italiano alla Fiat – ha licenziato e precarizzato, ha desertificato e delocalizzato l’industria automobilistica italiana ,annientandola di fatto. Profondo rispetto per il dolore della sua famiglia ma un fermo no alla sua celebrazione. Piuttosto, bisognerebbe commemorare le tante vittime, una fra tutte, la più rappresentativa: Maria Baratto

Maria era una quarantasettenne cassaintegrata da sei anni della FIAT di Nola, morta suicida il 26 Maggio 2014. La sua è una vicenda emblematica della realtà italiana e mondiale, una realtà dominata dal totalitarismo mercatista e liberista. Cassaintegrata, cioè parcheggiata, senza lavorare, senza mansioni, era stata “reclusa”, “deportata”, insieme ad altri 316 operai in un reparto “confino”, disorientata, sospesa nel limbo dell’inattività che l’ha spinta verso il baratro del suicidio. Uomini e donne in carne e ossa trattati come merce avariata non più funzionali al profitto dell’azienda, uomini e donne che non rientrano più negli standard produttivi…vero Marchionne?

Uomini e donne privati della loro dignità, derubati della loro libertà, defraudati del loro futuro, uomini e donne sacrificate in nome del Dio profitto.

Due anni prima del suicidio Maria Baratto aveva scritto su un giornalino degli operai di Pomigliano un articolo molto significativo che lasciava presagire qualcosa di terribile:”Suicidi in FIAT”.

Ecco cosa scriveva la Baratto: “ Dopo aver lucrato negli anni scorsi finanziamenti pubblici multimiliardari, lo speculatore Marchionne chiude e ridimensiona le fabbriche italiane e delocalizza la produzione all’estero per fare profitti letteralmente sulla pelle dei lavoratori…il tentato suicidio di Carmine P.…il suicidio di Agostino Bova…sono la punta di un iceberg della barbarie industriale e sociale in cui la FIAT sta precipitando i lavoratori.”

Questo è stato il lascito di un donna straordinaria la cui denuncia squarcia il velo di ipocrisia e mette a nudo il più grande dei crimini del liberismo globalizzato, cioè la disumanizzazione del lavoro, l’alienazione, la brutalizzazione, i ritmi lavorativi infernali, il taglio dei costi di produzione, l’aumento delle ore lavorative, i tagli del personale.

Certo, il grande Marchionne ha risanato i conti della famiglia Agnelli, ma con costi umani terribili per gli operai. Questo clima di disumanizzazione viene taciuto da un certo giornalismo di regime, il potere finanziario dipinge una realtà diversa, in cui essere precario è bello, dove la flessibilità è il nuovo eden, e lo fa utilizzando giornalisti prezzolati e servi, d’altronde lavorano in tv e giornali i cui proprietari sono gli stessi che vessano gli operai.

Il controllo dei mass media permette agli epigoni degli Agnelli di “reprimere” il dissenso, scoraggiare i ribelli in nome dello spread,dei conti pubblici, del ”lo vuole l’Europa”.

Ecco perché mi è venuta voglia di ricordare Maria, per non dimenticare la disperazione di chi sta per perdere il posto di lavoro. La disperazione di chi è senza lavoro.Non dimenticare il pudore nascosto che impedisce a questi operai di dire ai figli che presto il loro futuro sarà segnato. Per ricordare i tanti padri di famiglia disperati, travolti, da una crisi economica che ha le sue radici nel sistema capitalistico. La finanziaria “ giallo-verde è coraggiosa perché non vuole  dimenticare chi è il carnefice e chi è la vittima.

Ciao Maria…io non dimentico.                   

Antonio Cacioppo

Né con gli uni, nè con gli altri. Per non essere complici.

in Adrano/Antonio Cacioppo/Blog/Politica di

di Antonio Cacioppo

Il diritto al voto è una delle conquiste più importanti della nostra storia, l’esercizio del voto è un dovere morale sancito dalla Costituzione. In una comunità come la nostra, lo spessore della democrazia si misura sul senso di appartenenza a delle idee e alla fiducia nei riguardi di alcune persone, il tutto poi dovrebbe tradursi in partecipazione, in voto.

Quindi il voto è un dovere morale, ma non è un dovere assoluto. Prendiamo come esempio il sistema elettorale per l’elezione del sindaco e poniamo il caso che al ballottaggio arrivino due candidati di cui non si condivide niente, come ci si dovrebbe comportare? Qualcuno potrebbe invitare a votare il “meno peggio“, ma lo abbiamo già fatto nel 2013 con risultati catastrofici, quindi la soluzione più coerente, a nostro avviso, è astenersi.

La “sacralità” del voto ha avuto un senso in una fase storica di riconquista della libertà, ma ora non andare a votare diventa un principio morale, quando l’offerta politica a disposizione non ti aggrada. Chi vuole testimoniare il primato della politica sugli interessi economici ha tutto il diritto di astenersi, anche per non essere complice.
Per noi, sottolineo per noi, andare a votare significherebbe ferire Adrano, significherebbe perdere la memoria di sé, diventare stranieri in patria, nemici di se stessi.

Qualcuno deve avere il compito di ridestare la memoria, di testimoniare il fatto che ci sono principi non negoziabili. Inoltre la partecipazione alla vita politica si può fare anche fuori dalle istituzioni. Quindi è giusto e sacrosanto astenersi quando pensi che niente e nessuno potrebbe rappresentarti perché lontani mille miglia dall’idea che noi abbiamo di Politica:

  • Per noi la politica è passione autentica e tensione etica, senso di giustizia;
  • Per noi la politica è la convinzione che le cose possono cambiare in meglio;
  • Per noi la politica è convincere all’azione;
  • Per noi la politica è la più alta tra le attività umane, intesa come servizio per la propria comunità;
  • Per noi la politica è rialzarsi dopo la sconfitta e non arrendersi mai alla disperazione;
  • Per noi la politica è la capacità di testimoniare valori e tramandarli ad un’altra generazione;
  • Per noi la politica è la consapevolezza e la volontà di far prevalere l’interesse generale agli appetiti personali, l’onestà alla disonestà, la competenza ai privilegi;

Conseguentemente sul piano strettamente etico questo ci obbliga a non poter votare:

  • per chi  ha fatto del trasformismo politico il suo stile di vita;
  • per chi vuol fare la vittima dopo aver vittimizzato gli altri;
  • per chi fa della intimidazione il proprio marchio di fabbrica;
  • per chi fa fare la gara ai suoi amici a chi è più servo;
  • per chi ha un posto di lavoro grazie alla politica;
  • per chi ha la fissa del P.R.G. e dei piani di lottizzazione;
  • per chi promette posti di lavoro o favori;
  • per chi ha aderito a tutti i partiti politici dopo averli disprezzati;
  • per chi fa politica perché affarista;
  • per chi poi ci costringerà ad esclamare: “Adrano ha la classe politica che si merita”;
  • per chi si circonda di adulatori;
  • per chi è forte con i deboli e codino con i potenti;
  • per chi ha fatto la sceneggiata facendo finta di litigare per poi ricongiungersi per aggrapparsi al potere;
  • Per chi “mai con Aldo”-“mai con Angelo”, per poi ringoiarsi tutto, come se la parola data non avesse alcun significato.

Qualcuno può negare che questo non sia lo specchio fedele di buona parte della politica adranita? Qualcuno può negare che in questa città esistano uomini che hanno fatto della politica mercimonio ed altri il loro mestiere?

Politici portatori di interessi personali che si ostinano a fare gli ecumenici, sempre a parole, pronti per gli altri, sempre a favore del territorio, ma in realtà, sono più semplicemente, ladri di democrazia, predoni degli ultimi, strumentalizzatori di chi ha bisogno.
Malgrado questo hanno la faccia tosta di riproporsi sempre, ab aeternum, in maniera compulsiva, alcuni anche a distanza di 30 anni.

Assoluto rispetto per chi andrà a votare, ma si chiede altrettanto rispetto per chi deciderà di non andare, specie quando questa decisione viene resa pubblica ed è espressione di chi ha fatto dell’impegno civico la propria bandiera.

Non è una resa, è una nuova battaglia

in Antonio Cacioppo/Bacheca/Blog/Politica di

di Antonio Cacioppo

Per mesi abbiamo lavorato alla realizzazione di un sogno: costruire un progetto per Adrano capace di riaccendere la speranza in tanti cittadini rassegnati, sfiduciati e umiliati dai giochi di potere della politica nostrana. Abbiamo pensato che il modo migliore, questa volta, fosse quello di dare vita ad una proposta amministrativa condivisa con quelle forze che, in vari modi, propugnavano un cambiamento. Ma giorno dopo giorno ci hanno logorato, siamo caduti nel tranello delle infinite discussioni, siamo stati spinti nel tritacarne dei tatticismi fine a se stessi, nelle mediazioni ipocrite, confrontandoci con candidature che ci piovevano addosso da tutte le parti.
Anche di fronte alla “mostruosa alleanza”, quando la gente si aspettava unità, compattezza, spirito di servizio, coraggio, la risposta della classe politica è stata totalmente inversa. Lo spettro di una imminente sconfitta ha seppellito ogni buono proposito e tutti sono corsi ai ripari sposando progetti che, fino a qualche giorno addietro, erano stati aspramente criticati. In fondo, prima di ogni cosa, bisognava preservarsi il posto in consiglio comunale e magari ottenere pure qualche assessorato.

Anche noi potevamo fare lo stesso, d’altronde le “offerte” sono state molteplici e pressanti, ed invece abbiamo preso la scelta più difficile, ma certamente la più coerente: rimanere fuori dalla competizione elettorale. Abbiamo deciso di non essere uguali, dimostrando che l’impegno politico non può avere come unico orizzonte quello di occupare a tutti i costi le poltrone. Questo ci destinerà all’irrilevanza? Non sappiamo. Ma questa potrebbe essere, a nostro avviso, l’unica possibilità per permetterci di fare una opposizione vera, rigorosa, intransigente.

Non è una resa, è una nuova battaglia.
Una battaglia per la tutela del nostro meraviglioso paesaggio e del nostro territorio che un’orda di Lanzichenecchi, prima separati e ora uniti, vorrebbero colonizzare in nome del dio denaro. Una battaglia fatta di valori e di principi, come la tutela dei deboli, del bene comune e della legalità, per difendere Adrano dall’immoralità dilagante, pervasiva.

Già, l’immoralità. Questo è il pericolo maggiore che sta uccidendo la nostra città. L’immoralità della mala politica, l’immoralità di chi fa finta di essere diverso ma è semplicemente peggio, l’immoralità di chi si erge a moralista per poi “accordarsi”, l’immoralità di chi “mai con lui”, l’immoralità violenta di chi deve vincere a tutti i costi, l’immoralità inquinante di chi persegue “altri” obiettivi. Per scongiurare questo noi abbiamo il dovere di ridestare negli adraniti un orgoglio ormai sopito, l’orgoglio di una appartenenza ad una storia bella e meravigliosa che non ha niente da spartire con gli immorali.

Per far questo non c’è bisogno di stare nelle istituzioni. Certo non sarà facile, molti sono ormai assopiti, cloroformizzati, impauriti. Lo smarrimento è evidente, la crisi etica terribile, ma è questo il momento delle scelte. Questo è il momento di spezzare le catene del conformismo immorale che imprigiona Adrano. Questo è il momento di ribellarsi affinché si possa elaborare una visione condivisa di buona politica.

Noi di Symmachia vogliamo farlo da subito, con il vostro aiuto, partendo dalle vie e dalle piazze, ripensando e rimodulando meccanismi di coinvolgimento delle parti sane della città. Perché credetemi: ci sono ancora uomini differenti, uomini che della loro alterità hanno fatto motivo di vita, uomini che sono oltre le vecchie logiche, non condizionabili, che pensano diversamente e altrimenti.
Uomini i quali sanno che “… tra il grigio delle pecore si celano i lupi: esseri che non hanno dimenticato cos’è la libertà.” (E. Junger)

Adrano nell’occhio del ciclone di Striscia la Notizia.

in Antonio Cacioppo/Attualità/Blog/Generale di

“Cominceremo a morire il giorno in cui resteremo silenziosi di fronte alle cose che contano.”
(Martin Luther King)

di Antonio Cacioppo

L’ipocrisia è la costante scritta nel dna della maggior parte dei politici di Adrano. Non si scoprono mai, giocano di rimessa, rispondono solo se chiamati in causa, prima guardano, poi fiutano l’aria e si comportano di conseguenza, si credono furbi… politici appunto.

Si acquattano per sfruttare a loro vantaggio ogni situazione, perché sono convinti che la gente non sia capace di capire le loro strategie, infatti per loro le persone non sono niente, sono poca cosa, ecco perché i politici ostentano prepotenza verso i cittadini, salvo poi trasformarsi in servi di fronte ai potenti.

Ma andiamo ai fatti.

Ad Adrano appaiono carte da morto per una persona che morta non è. Reazione? Nessuna. Silenzio per 24 ore, 48 ore, fino a quando non arriva in paese Striscia la Notizia.

Contemporaneamente i giovani di Adrano si mobilitano sui social in maniera spontanea, organizzano riunioni (dentro cui in maniera maldestra cercano di “imbucarsi” alcuni politici, senza riuscirci).

Il vuoto e il silenzio iniziale viene colmato paradossalmente da una trasmissione televisiva e, soprattutto dal moto sincero dei ragazzi adraniti che organizzano una manifestazione su cui molti avrebbero voluto mettere il cappello.

A quel punto ai politici sornioni, che comprendono di non avere più scampo, scatta in loro, inesorabile, il riflesso condizionato dell’ipocrisia trasbordante, e giù un’orgia di dichiarazioni, di comunicati stampa, interviste:

-hanno leso l’onorabilità  della città ;

-hanno fatto passare un messaggio sbagliato;

-fuoco e fiamme contro la Petyx;

Come se il problema non fossero i manifesti e il loro messaggio inquietante, ma Striscia la Notizia. La classica operazione ipocrita di chi vuol distogliere l’attenzione da un fatto gravissimo per addossare la colpa ad altri.

Quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito.”

Si badi bene tutta l’orgia della indignazione “pelosa” si è avuta soltanto e solo dopo che gli avvenimenti li hanno travolti, soltanto dopo che Striscia la Notizia è venuta ad Adrano e soltanto dopo che i social hanno prodotto una vera e propria rivolta morale. Solo a questo punto, come per magia, diventano tutti portatori di valori di legalità, si riempiono la bocca con dichiarazioni di antimafia.

Antimafia? Ma di quale antimafia stiamo parlando?

-Forse l’antimafia di coloro i quali non fanno politica ma vivono di politica?

-Forse l’antimafia di coloro i quali hanno avuto vantaggi personali, familiari, amicali, dalla politica?

-Forse l’antimafia di coloro i quali si riempiono la bocca di ETICITA’ e nel frattempo hanno fatto e fanno carriera professionale con la politica?

-Forse l’antimafia di coloro i quali praticano il clientelismo come un modo normale di comportamento politico?

-Forse l’antimafia di coloro i quali sono disposti a vendere i loro compagni di squadra e la loro dignità morale pur di arrivare alla poltrona?

Davanti a noi un quadro deprimente a causa di una progressiva discesa verso l’abisso della perdita dei valori, un quadro che ci può costringere ad assuefarci con apatica rassegnazione.

Poi all’improvviso arrivano scintille di speranza.
Dopo le false indignazioni, arrivano quelle vere. Dopo le false condanne, arrivano quelle vere.

Giovani, badate bene, quelli autentici, si rivoltano:

-Contro la rozzezza e la mancanza di cura, attenzione, sensibilità  verso gli altri;

-Contro l’inadeguatezza di chi governa non avendo come fine il bene comune;

-Contro la noia, la superficialità , l’incapacità  di ragionare e capire le cose;

-Contro il servilismo;

-Contro la criminalità e la paura che ne deriva;

– Contro l’indifferenza che porta ad un angosciante nichilismo che determina la perdita della generosità, della libertà, del rispetto per il prossimo.

Giovani che si esprimono con giudizi taglienti, con capacità  d’analisi, con trovate creative tipiche della loro età  e smascherano il gioco di certi politici, smontano il giocattolo della loro ipocrisia, reagiscono, discutono, agiscono.

Loro sì che sono i portatori della legalità, dei valori più autentici dell’antimafia.
Non ci resta che alzare la testa e scrutare l’orizzonte per seguire queste scie luminose che prima o poi riusciranno a farci lasciare alle spalle questo squallore.

Cassazione choc: “Il boss Totò Riina è malato ma ha il diritto ad una morte dignitosa”

in Antonio Cacioppo/Attualità/Blog di

di Antonio Cacioppo

Molti hanno visto nel pronunciamento della Cassazione il trionfo dello stato di diritto. Anche il peggiore e sanguinario tra i mafiosi ha gli stessi e sacrosanti diritti di tutti noi. Da questo punto di vista la reazione e le parole di Sonia Alfano “…anche le vittime di Totò Riina avevano diritto a morte dignitosa”, sembrano stridere con il principio di legalità, secondo cui lo Stato deve agire in conformità al dettato costituzionale. La convinzione della Alfano sembra essere il frutto, secondo i partigiani dell’uguaglianza giuridica, della condizione emotiva della figlia di un padre ammazzato dalla mafia, in ogni caso, per questo motivo le reazioni di tutti i parenti delle vittime, tutte egualmente emotive, perderebbero di efficacia di fronte alla forza del diritto di uno stato democratico. Ma se lo stato di diritto vale anche per Riina, nel caso in cui lo Stato latita, sparisce o muore, il diritto ad esso collegato ha ancora senso?

E che lo Stato sia morto, e con esso anche il diritto, si evince, a mio avviso, da alcuni sinistri segnali:

-Lo Stato è morto nei quartieri dove le mafie spadroneggiano, sparando in pieno giorno, ammazzando anche bambini;

-Lo Stato è morto nelle stazioni ferroviarie delle grandi città, dove a comandare sono bande criminali dediti a scippi, stupri, spaccio, prostituzione;

-Lo Stato è morto nel disastro delle infrastrutture che si sbriciolano crollando su passanti ignari;

-Lo Stato è morto perché ha permesso la precarizzazione del lavoro, la perdita dei diritti e la creazione di una “generazione senza futuro”;

-Lo Stato è morto nella (non) gestione della immigrazione “subappaltata” ad Ong private, che traghettano i “nuovi schiavi” da sfruttare, collocandoli in strutture che assomigliano a dei lager;

-Lo stato è morto nei campi dove i caporali organizzano e schiavizzano gli immigrati costretti a vivere in baraccopoli di lamiera, in condizioni subumane;

-Lo stato è morto a causa di una classe politica imbelle, corrotta e in perenne commistione con massoneria e mafia;

-Lo stato è morto il 23 maggio 1992 quando 500 chili di tritolo distrussero un pezzo di autostrada e massacrarono Falcone e la sua scorta;

-Lo stato è morto il 19 luglio 1992 quando esplose una auto che annientò Borsellino e i suoi angeli custodi.

I segnali più evidenti che lo Stato sia morto si palesa in due momenti precisi: il primo relativo al momento in cui esso non ha impedito che i suoi servitori più fedeli fossero uccisi; il secondo relativo al pronunciamento della Cassazione che sottolinea la dignità della morte della “belva” Riina, dimenticando la straordinaria ed eroica dignità della consapevolezza di morte di Falcone, di Borsellino e di tutte le vittime di mafia.

Forse lo Stato non è morto solo nelle parole del Procuratore Antimafia Gratteri: “Non dimentichiamo che il 41 bis è stato istituito per evitare che i capimafia mandino segnali di morte verso l’esterno.” …È ora di finirla con l’ipocrisia di chi sale sui palchi a commemorare Falcone e Borsellino e poi fa discorsi caritatevoli”.

Ora, coraggio giudici e numi tutelari dello stato di diritto! Liberate Totò Riina! Questo, come ha detto Salvatore Borsellino, “sarebbe come uccidere di nuovo Falcone e Borsellino”, Dalla Chiesa, Chinnici, Impastato, La Torre, Livatino, Schifani, Dicillo, Montinari, Catalano, Loi, Li Muli, Cosina, Traina, Mattarella, Alfano, Basile, Fava, Bodenza…

Paolo Borsellino a Giovanni Falcone: “Al tuo funerale dirò che eri una testa di minchia”

in Antonio Cacioppo/Blog di

di Antonio Cacioppo

Avevo deciso di pubblicare sulla mia pagina facebook una semplice foto di Falcone senza nessun commento, ma un post sulla foto di un caro amico mi ha fatto scattare il meccanismo terribile del politicamente scorretto.

La delegittimazione
-19 Gennaio 1988: il C.S.M. non nominerà Falcone Consigliere Istruttore di Palermo,preferendogli Antonino Meli;

-31 Luglio 1988: Falcone e Borsellino con le rispettive famiglie vengono, controvoglia, ”segregate“ all’Asinara per redigere l’ordinanza del maxi-processo. Dopo un mese di permanenza lo Stato presenta loro il conto di cui Falcone conserverà la fattura;

-Comincia lo smantellamento del pool antimafia, tutte le indagini vengono parcellizzate, le istruttorie divise in mille rivoli, sconfessando di fatto un altro martire come Chinnici;

-20 Luglio 1989: la scorta di Falcone trova all’Addaura, presso la casa presa in affitto dal magistrato, 58 candelotti di esplosivo. Si scatenano immediatamente le voci che insinuano che il magistrato si sia messo da solo l’ordigno;

-Leoluca Orlando accusa Falcone di tenere nascosti nei cassetti una serie di documenti sui delitti eccellenti;

-Falcone, su iniziativa dell’allora Ministro Martelli, accetta di dirigere gli Affari Penali del Ministero, apriti cielo, viene accusato dai colleghi di alto tradimento;

-si scatena una vera e propria campagna di diffamazione e delegittimazione sui giornali, con la Repubblica in prima linea. Politici di tutte le risme, colleghi, giornalisti, fanno a gara per chi è più bravo a riversare sul magistrato odio, livore, sarcasmo.

La commemorazione
Uno stuolo di politici, giornalisti, personalità, imprenditori, gli stessi che lo hanno prima attaccatoe poi abbandonato, si precipitano, come in una grande sfilata di carnevale, a ricordare una persona che non sono degni nemmeno di nominare. Una vera e propria fiera dell’ipocrisia, basta guardarli in faccia questi sepolcri imbiancati, hanno visi di circostanza, sono falsi. Rappresentano uno Stato inesistente, nullo, ipocrita, che prima abbatte i suoi migliori servitori e poi li commemora.
La Falconeide del 23 Maggio che si trasforma in show televisivo, dove tutti giocano all’antimafia.

Le parole di Borsellino.
I due magistrati, grandi amici, spesso ironizzavano sul loro sicuro tragico destino e Paolo un giorno dice a Giovanni:

“Giovanni, ho preparato il discorso da tenere in chiesa quando ti avranno ammazzato. In questo mondo ci sono tante teste di minchia. Teste di minchia che tentano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello, quelli che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero. Ma oggi, signore e signori, davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa di minchia di tutti. Uno che si è messo in testa, niente di meno, di sconfiggere la mafia applicando la legge”.

Aveva ragione.

I complici di Renzi ora vogliono la scissione

in Antonio Cacioppo di

di Antonio Cacioppo

La scissione annunciata da un gruppo di dirigenti del P.D. all’Assemblea Nazionale del partito, lascia sgomenti, non potrebbe essere altrimenti, visto che trattasi del maggiore partito italiano. Per capire la portata dell’eventuale avvenimento, è sufficiente dare un’occhiata ai nomi dei protagonisti: Bersani, D’Alema, Rossi, Speranza, Epifani, cioè ex Primi Ministri, ex Segretari di partito, ex Segretari C.G.I.L, Presidenti di Regione. Si spaccherà o non si spaccherà? E se si dovesse spaccare, quali saranno i gravi motivi che potranno giustificare la fine del P.D., come l’abbiamo conosciuto, come l’unione cioè di due grandi tradizioni politiche, quella cattolica di sinistra e gli eredi del P.C.I.? Ascoltando gli interventi all’assemblea del partito, in particolar modo quello di Epifani,si scopre che i motivi sono riassumibili:
1) nella gestione personalistica di Renzi; 2) nella data del congresso del partito, da indire in conseguenza delle dimissioni del segretario; 3) nell’eccessivo ricorso al voto di fiducia, attuato per costringere la minoranza del partito a votare provvedimenti di cui non si condividevano i contenuti; 4) la data delle prossime elezioni. Tutto qua? Per motivi così deboli si spacca un partito? Questi motivi, come hanno rilevato tutti gli osservatori, non sono sufficienti a giustificare una rottura storica come questa.
Allora proviamo noi ad individuarne la ragione vera, fuori dalle ipocrisie, al netto del tatticismo, la vera ragione dell’insanabile dissidio. La causa scatenante sta nella composizione delle liste alle prossime politiche, liste che se fatte da Renzi determinerebbero l’estinzione politica della minoranza dem. Quindi la scelta per gli scissionisti è tra la certezza di scomparire politicamente e la speranza, formando un nuovo partito, di essere rieletti e quindi sopravvivere. E fin qui nessuno scandalo, da sempre la politica è anche conquista della rappresentanza senza la quale non si può esercitare la possibilità di portare avanti le proprie visioni politiche. Quello che invece scandalizza è che la scissione non si consumerà su contenuti politici, su visioni contrapposte della società, ma su questioni procedurali e su date riguardanti elezioni e congressi. Chi tra i due contrapposti fronti riuscirà a prevalere non è dato sapere, ma una cosa appare certa: a perdere saranno i cittadini, il popolo, perché la sinistra, come già la destra si badi bene, hanno sacrificato il bene comune alle logiche del dio mercato. Infatti tutto è iniziato con Tony Blair e Bill Clinton i mentori della globalizzazione spacciata come nuova religione, per passare ai loro epigoni italiani Prodi, Veltroni, D’Alema, Letta, fino ad arrivare a Renzi, colui il quale è riuscito là dove Berlusconi e persino Monti avevano fallito:  il massacro dei diritti sacrificati sull’altare del globalismo capitalista. Altro che scissione! Questi signori, questi falsi antagonisti, questi attori capaci di recitare sempre lo stesso ipocrita copione, dove erano: 

  • quando il centrosinistra consegnò l’Italia al sistema euro che ci ha ridotti in queste condizioni?             
  • quando,su ordine dei tecnocrati di Bruxessel,si è desertificata la spesa sociale con tagli lineari?
  • quando si è massacrata la sanità pubblica?
  • quando si è approvato il Jobs Act e l’abolizione dell’articolo 18?
  • quando hanno approvato la riforma della scuola con la famigerata legge 107?
  • quando è entrata in costituzione, per ordine della Troika, il pareggio di bilancio?
  • quando sono stati introdotti i Voucher, simbolo di moderna schiavitù?
  • quando hanno condannato un’intera generazione alla perdita del loro futuro?
  • quando si sono piegati alla perdita della sovranità nazionale?

La sinistra non si scinderà in questa attuale vicenda, lo ha già fatto da tempo. La sinistra si è scissa nel momento preciso in cui ha venduto la sua anima al potere finanziario. Nel capolavoro di Hobsbawm, “Il secolo breve”, l’autore fissa un pensiero fondamentale: “alla fine del secolo è stato possibile capire come sarà un mondo nel quale il passato, incluso il passato nel presente, ha perso il suo ruolo, in cui le vecchie mappe e carte che hanno guidato gli esseri umani non raffigurano più il paesaggio nel quale ci muoviamo, né il mare sul quale stiamo navigando. Un mondo in cui non sappiamo dove il nostro viaggio ci condurrà e neppure dove dovrebbe condurci.”

Questo è il tempo della fine delle certezze, la fine delle identità ideologiche e della fine della sinistra come della destra. Tramontate le certezze novecentesche, scomparse le vecchie categorie politiche, è cessata la possibilità di resistere a questo sistema?   No, per fare ciò basterebbe ripartire da alcune idee e valori nè di sinistra e nè di destra ma al di là della destra e della sinistra. Identità culturale, giustizia sociale, comunitarismo, stato sociale, prevalenza del bene pubblico sull’interesse privato, diritti non solo degli individui ma dei popoli, primato della politica sulla finanza in nome di una grande alleanza contro lo strapotere della globalizzazione.                       

In un tempo in cui la povertà cresce in maniera esponenziale e l’unica risposta è stata l’austerità e la precarietà, in un tempo che è stato testimone della morte dello stato sociale che garantiva assistenza  agli ultimi, una scissione di questo genere non cambia nulla.     Intraprendere un nuovo percorso che ci faccia superare le macerie della destra e della sinistra, fare attecchire un nuovo patrimonio di valori, questo ci vorrebbe. Un compito difficile, pieno di ostacoli, ma che in un mondo di rovine vale la pena di intraprendere.

Di fronte ad uno scenario del genere, la scissione del P.D. che significato ha? Tanto rumore per niente.  

Lettera a Michele, il ragazzo suicida di Udine.

in Antonio Cacioppo di

di Antonio Cacioppo

Michele avevi trent’anni e ti sei ammazzato perché eri stanco, disperato, arrabbiato.
Non giudicherò la tua decisione, non ne ho gli elementi e non sono in grado di capire fino in fondo il dolore e l’angoscia che ti hanno portato all’estremo gesto. Non mi schiererò con coloro che ti vogliono valutare a tutti i costi, fortunati come sono con il loro lavoro, i loro agi. Non accetterò mai coloro che diranno che il tuo suicidio è conseguenza di problemi psichici. Non approverò per nessuna ragione al mondo, coloro che sosterranno che il precariato è un valore e la flessibilità lavorativa una fortuna piovuta dal cielo. Rispetto la tua drammatica decisione, perché frutto di un’analisi penetrante e veritiera, come testimonia la tua lettera.

Come non essere d’accordo con te, Michele, e con la tua rabbia verso una società che ha smantellato il Welfare, pezzo per pezzo, introducendo il Job Act, i voucher, forme moderne di schiavitù per decontrattualizzare il lavoro e renderlo senza tutele. Come non essere d’accordo con te,Michele,sul fatto che il lavoro precarizzato è l’asservimento dei deboli,dei senza diritti, nei confronti dei forti,dei potenti. Come non essere d’accordo con te, Michele, che la subordinazione economica, lo sfruttamento, il lavoro parcellizato e pagato miseramente, è anche e soprattutto assoggettamento esistenziale, infatti il nuovo schiavo perde la sua umanità e la sua identità, posto com’è di fronte alla drammatica scelta tra morire di fame o accettare le condizioni disumane di un oppresso.

D’accordo su tutto, ma mi dispiace dirtelo, su una cosa hai sbagliato, e te lo dico con tutto il rispetto e l’affetto che meriti, hai sbagliato ad ammazzarti. Posso capire che si sceglie di farla finita per rimorso, per colpe commesse, ma non si ci ammazza per colpe commesse da altri, per colpa di un sistema. Eppure tu, in quella lettera lucida e straziante, hai indicato perfettamente chi sono i responsabili, ecco perché la tua lettera è una denuncia sociale, ecco perché tu sei morto, per un crimine sistemico fatto da altri, ecco perché più che un suicidio, a me sembra un omicidio.

E però, caro Michele, la realtà non è mai una somma di dati oggettivi che noi dobbiamo semplicemente accettare come ineluttabili, al contrario la realtà è l’esito delle nostre azioni e può essere sempre trasformata e ribaltata. Ecco perché non accetto il tuo gesto estremo, ma non accetto soprattutto gli uomini che, costretti dal potere a rinunciare al loro futuro, non oppongono resistenza, si voltano da un’altra parte, non si impegnano in un’azione di rovesciamento dell’esistente, tutti presi da una malattia terribile e contagiosa che si traduce in una forma di fatalismo fine a se stesso. Questa realtà ci mette inevitabilmente di fronte ad una scelta: subire o reagire.
Ribellarsi ecco la cosa giusta. Non solo contro il sistema, ma contro l’abulia, il menefreghismo, l’indifferenza di tutti quegli uomini che non si mobilitano di fronte alle squallide ingiustizie, ma si esaltano invece per la squadra del cuore, si mettono in fila per l’ultimo smartphone, si drogano nelle discoteche, si entusiasmano per il festival di Sanremo.

Jus resistentiae, diritto alla resistenza contro un apparato mostruoso. Mai venir meno al dovere di ribellarsi, mai accettare i soprusi, mai abituarsi alle ingiustizie, mai avere timore dei tiranni, ma da vivi Michele, da vivi.

Scusami per questo mio sfogo,ma mi è insopportabile l’egoismo di una società che assiste indifferente al suicidio di imprenditori, di padri di famiglia, di disoccupati permettendo solo a pochi di stare bene. Mi è insopportabile assistere alla disossazione di una intera generazione.
Ciao, Michele, e grazie per le tue parole che mi permettono di chiederti perdono per non aver fatto abbastanza affinché tu vivessi come avresti meritato.

Imparare dalla Francia

in Antonio Cacioppo di

La classe dominante è all’attacco del mondo del lavoro e dei diritti sociali, i francesi non ci stanno e si sollevano contro il totalitarismo del terzo millennio: il neoliberismo capitalistico.

La Francia è scossa da un movimento tellurico di popolo senza precedenti nella storia recente,la mobilitazione contro la Loi Travail è totale. Sembra essere tornati di colpo all’Autunno Caldo del 1968 in Italia,ma il parallelismo,almeno per ora,finisce qui. In Italia il Jobs Act è stato accettato supinamente, solo lamentele sul web, nessuna reazione significativa nei confronti di un sistema che ci sta letteralmente affamando. Niente bandiere e megafoni,cortei e comizi,meglio gustarsi una partita di calcio,meglio guardare le trasmissioni televisive d’accatto che dispensano dolore e lacrime a buon mercato,più adrenalinico, per gli italiani, è dividersi tra colpevolisti e innocentisti dell’ultimo efferato omicidio.

I francesi no, loro hanno capito l’assenza totale di sovranità dei governi nazionali che sono,ormai,al servizio di oligarchie mondiali e di opachi burocrati non eletti da nessuno ma che controllano lo stesso i bilanci delle nazioni. Viviamo in una realtà dove i popoli vengono sacrificati sull’altare degli interessi di lobby finanziarie. La parola d’ordine di queste oligarchie è”austerità”,parola che nel suo significato autentico indica la distruzione del Welfare con conseguente macelleria sociale. Una nuova democrazia si sta affermando,una democrazia minore,senza popolo,una democrazia surrogata da una nuova Elite Illuminata,si pensi al governo Monti,voluto dalle multinazionali finanziarie,al governo Renzi,premier non eletto in parlamento, che ci ha regalato il Jobs Act , la “buona scuola”,l’abrogazione dell’articolo 18. In questo contesto la Loi Travail e il Jobs Act rispondono alle logiche neoliberiste ,perché sono parte fondamentale di un processo di precarizzazione, di un attacco al mondo del lavoro e ai diritti che investe tutti i popoli europei.

Non c’è più niente da fare? Per nulla! La speranza c’è.

In Francia è scoppiata una nuova rivoluzione che viene portata avanti con nuove metodologie,non più sciopero tradizionale,settoriale che si sviluppava nei luoghi tradizionali del lavoro come le fabbriche e le scuole,ma sollevazione di popolo che investe tutti i settori della società in spazi aperti, piazze e strade dove svanisce la “classe” e si diventa popolo. Non è solo il rifiuto di una legge iniqua sulla riorganizzazione del lavoro ma è anche il rifiuto di un popolo nei confronti di poteri sovranazionali che tentano di opprimere i cittadini per meri scopi economici. Non è dato sapere il risultato finale di questa ribellione, ma visto l’impegno, la partecipazione corale di buona parte del popolo francese c’è da sperare. Anche in Italia c’è speranza, qualcosa sta cambiando.

Ci sono voluti molti anni per cancellare l’articolo 18 e molti anni per riformare le pensioni, il Jobs Act è stato disapplicato in molte aziende grazie alla reazione dei lavoratori,c’è soprattutto l’esempio francese.

 La speranza c’è, perché il potere ha gettato la maschera e tutti hanno capito che l’unico scopo degli attuali governi europei è quello di facilitare i licenziamenti e abbassare i salari facendo lavorare di più.  Ma ora siamo a un punto di svolta,la sollevazione in Francia ha mostrato che il sistema può essere messo in crisi da questo tipo di lotta che può determinare non tanto risultati immediati,ma può generare un patrimonio di idee,valori,esperienze da consegnare alle future generazioni. E nel presente la ribellione da sensazioni nuove,forti,esaltanti,la gente si rende conto che è possibile battere il nemico,in questo clima chi si ribella vive come in una dimensione magica di stupore per quello che si è riusciti a fare .Ma bisogna stare vigili perché il potere reagirà e lo farà con i soliti sistemi dei “contentini”,del “divide et impera” per scatenare la”lotta tra poveri”, lo farà con la coercizione e la forza .Di fronte a questo,chi lotta,non ha altro da fare che estendere la rivolta. Ma l’insegnamento più bello che viene da questa”primavera”francese consiste nella caduta di alcuni miti:

–          Non c’è alternativa all’ideologia del terzo millennio, il neoliberismo;

–          La ribellione non paga perché è meglio un approccio riformista;

–          E’inutile lottare  perché tanto non cambierà niente;

Questo momento storico contraddistinto dalla ribellione francese smentisce questi luoghi comuni, ammonisce i tiranni,dando a tutti quelli che hanno partecipato a queste giornate storiche la sensazione di non essere più le stesse persone,tanto da poter consegnare alle generazioni future un nuovo profumo di libertà.

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