
In occasione del 60° anniversario della morte del giovane Girolamo Rosano (17 gennaio 1951), abbiamo incontrato Federico Laudani, che ha vissuto in prima persona i fatti che portarono alla morte di Girolamo, caduto sotto i suoi occhi.
“Sono stato un attivista del Pci”, si definisce così Federico Laudani, vetusto Adranita dall’aspetto sobrio, pronto al dialogo ed ebbro di storia.
É stato sindaco di Adrano dal 1969 al 1974; ci parla della sua giunta composta da due prestigiosi ex-sindaci di Adrano, il dott. Salanitro e l’avv. Pietro Maccarrone. Erano i tempi in cui il Pci ad Adrano contava tre sezioni: Curiel, Gramsci e Rosano; di quest’ultima Laudani fu segretario sin dal 1956, anno in cui il partito comunista vinse le elezioni col sistema maggioritario, poiché Adrano non superava ancora i trentamila abitanti: era l’Adrano del dopoguerra, della Prima Repubblica…
Nel 1951 in che situazione versava Adrano? Ci furono degli scioperi…
Nel 1951 l’Italia è una nazione prevalentemente agricola, specialmente il meridione dove ci furono lotte terribili per la conquista della terra.
E Rosano ne faceva parte?
Certo! Rosano era un giovane battagliero e partecipò anche alla manifestazione per la pace contro il paventato pericolo della guerra in Corea. L’Italia faceva parte del “patto atlantico” e ai giovani della classe 1928 arrivarono le cosiddette “cartoline rosa”di preavviso per tenersi pronti alla partenza; si mise in atto una mobilitazione popolare che può definirsi spontanea e che vide l’impegno di molti attivisti del Pci; ricordo Pasquale Burzillà, Nicola Palermo, Salvatore Polizzi…
Secondo lei, quel giorno perché la polizia sparò sui manifestanti?
Io posso raccontare solo quello che ho vissuto: Scelba, feroce anticomunista, era ministro degli interni; quel giorno la Polizia, con le autoblindo, divise il paese in due impedendo di attraversare sia la via Garibaldi, sia la via Roma. Gli agenti facevano, infatti, la spola tra piazza Sant’Agostino ed il Belvedere. Imboccai la via SS. Cristo per attraversare il breve tratto di via Garibaldi e così raggiungere la via Viaggio; in piazza Genova incontrai mia madre con in braccio mio figlio, che allora aveva solo pochi mesi, i cui occhi bruciavano a causa dei lacrimogeni. Mi premurai di bagnare un fazzoletto nella fontana adiacente, ormai inesistente, così da alleviare l’effetto dei gas. A quel punto, Girolamo Rosano in testa, seguito da me ed altri due giovani (tali Caruso e Santangelo) decidemmo di andare a controllare se la celere stesse continuando nella sua azione repressiva. Giunti all’angolo tra via De Giovanni e via Garibaldi vedemmo cadere Girolamo colpito da una pallottola alla tempia sinistra, tornammo indietro, io pensavo a raggiungere nuovamente mia madre e mio figlio.
Si sentì solo un colpo?
No, sentimmo molti colpi, sparati in aria dalla Polizia. Ci furono anche dei feriti stimati intorno a diciassette.
Subito dopo che cosa accadde?
Si creò una certa tensione; la Polizia volendo evitare una strage se ne andò e ci permise di tenere il comizio non autorizzato.
Cosa successe nei giorni successivi? La polizia avviò le indagini?
Innanzitutto si svolsero i funerali che ebbero una grande partecipazione popolare: vi era un corteo interminabile. Le indagini, invece, ricaddero soprattutto su due civili che poi furono scagionati.
Dopo l’omicidio la tensione continuò ancora?
Eccome! La tensione era forte, sin dal dopoguerra per le lotte del bracciantato e l’occupazione delle terre. Per andare a coltivare
i latifondi si “ scioperava a rovescio” ossia si lavorava la terra per ottenerla. Io stesso partecipai a queste lotte; nel 1948 assieme ad un gruppo di ragazzi fummo denunciati dal guardiano di un tratto di terra abbandonato per “violazione e danneggiamento alla libera proprietà”, ricordo ancora la difesa del nostro avvocato che chiamò in causa la Costituzione e il fatto che a danneggiare un terreno incolto non è certo colui che lo coltiva, quanto, piuttosto, il proprietario che lo ha abbandonato; fummo assolti.
La tensione quando finì?
Durò fino al 1960 con il famoso governo Tambroni. Ad Adrano e Biancavilla il fenomeno dell’occupazione delle terre fu potentissimo, grazie alla presenza dei sindacati, tra i più forti di tutta la provincia. I poveri contadini lavoravano il latifondo tutto l’anno per poi andarsene con quasi niente, in paese si diceva “’ca tradente ‘n coddu”(“tradente” sta per il tridente utilizzato per “spagliare” durante la trebbiatura).
É vero che la Cisl provinciale diretta da Vito Scalia tentò di speculare sull’accaduto?
Si venne a creare una forte contrapposizione ideologica, in seguito alla scissione del sindacato, nel 1948, tra il rosso e il bianco, cioè tra la Camera del Lavoro, guidata da Giuseppe Di Vittorio, e la Cisl, diretta da Giulio Pastore.
Girolamo Rosano fu ucciso perché comunista?
Girolamo, in verità, era un giovane lavoratore, sicuramente propenso alla lotta di classe, ma non era un militante; piuttosto, la sua figura divenne simbolo di lotta sociale sia nel Pci che nei sindacati. La famiglia andò a testimoniare il “martirio” di Girolamo persino a Roma.
Intervista realizzata da Calogero Rapisarda, Antonio Cacioppo, Vincenzo Ventura.